Furti in appartamento in aumento in Italia: i risvolti economici e psicologici per le famiglie

Negli ultimi tempi, in Italia si stanno registrando sempre più episodi di furti in appartamento.

Tali furti comportano non soltanto una grave perdita a livello economico per le famiglie colpite, ma anche importanti risvolti psicologici.

Per questo motivo di seguito proveremo ad esaminare più da vicino questo fenomeno, purtroppo in aumento, e le conseguenze che esso ha su coloro che ne sono vittime.

Le statistiche sui furti in appartamento in Italia

Secondo le statistiche, quelli in appartamento rappresentano la maggior parte dei furti commessi in Italia. Nel 2022, ci sono stati oltre 200.000 episodi di questo tipo, con un aumento del 5% rispetto l’anno precedente.

La maggior parte di questi furti viene commesso da ladri professionisti, spesso organizzati in bande. Tuttavia, alcuni furti vengono commessi anche da conoscenti o addirittura da membri della famiglia.

I danni economici causati dai furti in appartamento

Un furto in appartamento può avere gravi conseguenze economiche per le famiglie colpite.

Oltre ai beni materiali rubati, come gioielli, denaro contante e oggetti di valore, i proprietari di casa devono anche affrontare i costi per riparare eventuali danni legati alle operazioni di scasso, come ad esempio la sostituzione di serrature o la riparazione di porte o finestre forzate.

Si tratta di conseguenze alle quali solitamente non si pensa, ma che a tutti gli effetti concorrono nella cosiddetta “conta dei danni”.

Gli effetti psicologici dei furti in appartamento

I furti in appartamento hanno anche importanti risvolti psicologici per le famiglie colpite, dunque non ci sono solo quelli economici.

Molti maturano sentimenti di disagio a seguito della violazione della propria privacy e di insicurezza all’interno di casa propria, il che può avere un impatto significativo sulla qualità della vita.

Inoltre il trauma causato dal furto, ed il  timore che possa capitare ancora, può portare a disturbi del sonno, ansia e depressione.

Come proteggersi dai furti in appartamento

Ci sono alcune misure di protezione che è possibile adottare per proteggersi dai furti in appartamento. Una delle più efficaci è l’installazione di sistemi di allarme e antintrusione.

Esistono ad esempio gli allarmi con sensori di movimento, telecamere di video sorveglianza, grate di sicurezza e porte blindate, su tutti.

È anche consigliabile l’adottare buone abitudini come il chiudere sempre a chiave porte e finestre quando si esce di casa e non condividere informazioni personali o dettagli sui propri spostamenti sui social media.

È inoltre utile fare in modo che la propria abitazione non appaia vuota per lunghi periodi di tempo, ad esempio chiedendo a un vicino di raccogliere la posta o di parcheggiare l’auto in cortile durante la nostra assenza.

Le contromisure delle autorità ai furti in appartamento

Le autorità stanno adottando nuove contromisure per contrastare l’aumento dei furti in appartamento in Italia.

Le forze dell’ordine stanno per questo intensificando i controlli sul territorio e lavorano a stretto contatto con le associazioni di proprietari di case per sensibilizzare sui rischi e sul come proteggere la propria abitazione.

Inoltre, sono stati introdotti nuovi strumenti legislativi per punire i colpevoli e prevenire il ripetersi di tali reati.

Il ruolo della comunità nella prevenzione dei furti in appartamento

Prevenire i furti in appartamento non è solo un compito delle autorità, ma anche dell’intera comunità.

I vicini di casa che si conoscono e si aiutano a vicenda possono costituire un deterrente per i ladri, rendendo più difficile per loro l’agire indisturbati.

Ad esempio, è possibile organizzare turni di vigilanza o creare un gruppo Whatsapp per condividere in tempo reale informazioni su eventuali attività sospette.

In questo modo, si può contribuire a creare un ambiente più sicuro per tutti.

Come affrontare il trauma causato da un furto in appartamento

Se si è stati vittime di un furto in appartamento, può essere difficile superare il trauma ed il senso di violazione della propria casa.

È importante ricordare che è normale provare questi sentimenti e che ci sono diversi modi per affrontarli e superarli. Ad esempio, può essere utile parlare del proprio stato d’animo con amici e familiari o con un professionista, come uno psicologo.

Inoltre, è importante prendersi cura di sé, ad esempio cercando di mantenere una routine regolare e dedicarsi ad attività che aiutino a rilassarsi e a scaricare lo stress.

In conclusione, i furti in appartamento rappresentano un grave problema in Italia, con conseguenze economiche e psicologiche per le famiglie colpite. Tuttavia, ci sono diversi modi per proteggersi e per affrontare il trauma causato da questo tipo di episodi.

È importante per questo che le autorità, le associazioni di vicinato e la comunità lavorino insieme per prevenire i furti in appartamento e creare situazioni più sicure per tutti.

Flat tax: chi paga più tasse, autonomi o dipendenti?

La flat tax è stata innalzata fino a 85mila euro di fatturato, ma a quanto emerge dai calcoli dell’Ufficio studi della Cgia gli autonomi continuano a pagare più tasse dei lavoratori dipendenti. Solo nella fascia di reddito tra 60 e i 65mila euro le partite Iva che si avvalgono della flat tax pagano meno, mentre in tutte le altre comparazioni, ovvero tra 10mila a 55mila euro di reddito, gli autonomi pagano sempre molto più di impiegati e operai. E se il confronto è tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta a dismisura, con punte di oltre 6mila euro all’anno tra le partite Iva che dichiarano tra 60 e 65mila euro di reddito.

Un vantaggio fiscale per potenziali 140.000 lavoratori autonomi

La situazione, dunque, cambia segno a partire dalla classe di reddito pari a 60mila euro. In questo caso, gli autonomi con flat tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro, e di 1.285 euro con un reddito da 65mila. Ma quanti sono i potenziali lavoratori autonomi che con lo slittamento della soglia a 85mila euro potranno beneficiare del vantaggio fiscale garantito dall’applicazione della flat tax? Dall’elaborazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno di imposta 2020), potrebbero essere 140mila.

Per lo Stato un esborso maggiore di 404 milioni di euro all’anno

Ma gli effettivi beneficiari del regime di favore sono meno di 140.000, in quanto oltre a non superare il limite di ricavi/compensi di 85mila euro, devono rispettare ulteriori requisiti stabiliti dalla legge. Tra cui, ad esempio, non aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio o di collaborazione, superiori a 20mila euro. Secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi 2021 i contribuenti in regime forfetario ammontano a poco meno di 1.728.000. E secondo la Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2023, si stima che l’ampliamento delle soglie di ricavi/compensi per accedere alla flat tax previsto dal Governo Meloni comporterà un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno, riferisce Adnkronos.

Una misura di sostegno per i professionisti iscritti alla Gestione separata

Dal 2021, però, gli autonomi dispongono dell’ISCRO (Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa), costituita solo per il triennio 2021-2023 e rivolta esclusivamente ai professionisti e lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS con redditi molto bassi e momentanei cali di fatturato. Si tratta di una indennità semestrale, richiedibile una sola volta nel triennio, pari al 25% dell’ultimo reddito dichiarato. La misura di sostegno prevede l’erogazione di una indennità mensile tra 250 euro e 800 euro, a seconda dei requisiti posseduti dal richiedente.

Rinnovabili, per gli italiani non c’è tempo da perdere

Come vedono il futuro i nostri connazionali in merito a quanto sta succedendo a livello di clima e ambente? Il 92% degli italiani è preoccupato dal cambiamento climatico e per l’82% è necessaria la transizione EcoDigital: priorità è incentivare le rinnovabili. Anche con misure drastiche, per non aggravare la crisi climatica in atto. Ecco, in estrema sintesi, i dati emersi dal 20° Rapporto “Gli italiani, le rinnovabili e la Green&Blue economy” presentato al convegno di celebrazione del “Mediterranean Day”, realizzato da Fondazione UniVerde e Noto Sondaggi.

Un’emergenza collegata ai recenti disastri

“Il 92%, la quasi totalità degli italiani, è preoccupato per il cambiamento climatico” ha detto Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde. “Un’emergenza drammaticamente collegata al disastro di Ischia, come anche all’alluvione nelle Marche e al fiume di acqua e fango a Formia. Per il 76% degli italiani è prioritario aumentare la produzione da fonti rinnovabili, in particolare solare ed eolico offshore, per garantire energia al Paese senza aggravare ulteriormente la crisi climatica. Nonostante la propaganda a favore di un nucleare cosiddetto ‘pulito’, oltre l’80% ritiene che questa energia non sia la risposta al climate change. Considerato anche lo scandaloso fallimento della COP27, chiediamo al Governo un impegno per favorire la transizione energetica ed EcoDigital, come richiesto dagli italiani, evitando di impantanare Parlamento e Paese in un dibattito su centrali nucleari o trivellazioni petrolifere che ha già fatto perdere anni importanti all’Italia, invece di farla affermare quale leader delle rinnovabili e della green&blue economy”.

Le forme di energia “green”

Cresce costantemente la quota degli italiani sicura che il mercato dell’energia del futuro andrà verso le rinnovabili, arrivando al 90% (+6% rispetto alla precedente rilevazione e ben +26% negli ultimi 6 anni). È in aumento il consenso degli italiani per quanto riguarda la messa in opera di grandi impianti eolici, sia dislocati sulle colline (76%) che a mare (off-shore) ma lontani e invisibili dalla costa (39%). In merito alla transizione energetica, si mantiene stabile il campione (44%) a conoscenza che l’UE punta sull’idrogeno verde come elemento essenziale, e per il 73% sarebbe importante per l’Italia incentivare questa innovazione. Il 40% ritiene che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 55% di energia da fonti rinnovabili ma oltre il target fissato al 2030. pressoché tutti concordi (il 91%, con un aumento di due punti percentuali rispetto l’anno precedente) sul fatto he oggi  passare al solare sia più sicuro.

Appuntamento con la sveglia del mattino: come si comportano gli italiani?

Qual è il compagno di “sveglia” degli italiani? Con quale strumento preferiscono alzarsi? Tra i mezzi prediletti vince la sveglia dello smartphone (73%), ma circa 1 su 10 è ancora affezionato a quella analogica (9%) o confida nel suo orologio biologico (11%). Qualunque sia il device per alzarsi, quello che resta una costante è la pochissima voglia di scendere dal letto. Tanto che la gran parte degli italiani posticipa la sveglia fino all’ultimo secondo. Sono solo alcuni dei risultati emersi dall’indagine condotta da Emma – The Sleep Company che ha esplorato il rapporto degli abitanti del Bel Paese con il trillo del mattino.  

I consigli del buon giorno

Per comprendere quali siano le buone regole della sveglia, Emma Company ha coinvolto Theresa Schnorbach, psicologa specializzata in terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia e Sleep Scientist. Per combattere “l’ansia da sveglia”, ci sono 4 strategie da seguire.  Prima, evitare l’uso di sveglie in vacanza e nei fine settimana: nei giorni liberi meglio non affidarsi al trillo della sveglia, poco funzionale per il fisico e la mente e aiutare il corpo a riscoprire quei segnali naturali che indicano l’ora di destarsi. Seconda, utilizzare una sveglia “Sunrise” durante i giorni lavorativi: è uno strumento più “soft” dello squillo della sveglia, per un “buongiorno” senza stress. Si tratta di modelli che non emettono suoni o vibrazioni, ma favoriscono il risveglio con un graduale aumento della luminosità nell’arco di alcuni minuti. Terza regola, individuare il momento giusto: è ideale svegliarsi ogni giorno sempre alla stessa ora per allenare il corpo a una sana routine di sonno, regolare e costante. Un consiglio pratico potrebbe essere di impostare la sveglia alcuni minuti prima rispetto al momento di alzarsi dal letto, in modo che il corpo si prepari ad affrontare la giornata senza sentirsi eccessivamente stressato. Infine, quarta dritta: scegliere la fase di sonno corretta per il risveglio. Uno dei motivi per cui ci si può sentire poco riposati al mattino è che si viene destati durante la fase di sonno errata, ovvero sonno profondo o REM. 

Aprire gli occhi, che fatica

Aprire gli occhi la mattina è un compito difficile; basti pensare che per quasi 1 italiano su 5 (17%) è necessario che suonino più sveglie o che ci sia qualcuno che fisicamente vada a chiamarlo in camera. Non solo, neanche smettere di crogiolarsi sotto le coperte è semplice, basti pensare che per 1 su 10 (10%) trascorrono ben 30 minuti dal suono della sveglia al momento effettivo di alzarsi dal letto. Non sorprende dunque che posticipare la sveglia sia una filosofia di molti abitanti dello Stivale; infatti, più di un terzo di loro (36%) lo fa quotidianamente, il 16% solo in settimana e il 15% durante i weekend. Tra chi la mattina si concede qualche secondo di sonno in più con il pulsante “snooze”, più della metà (52%) si limita a rimandare la sveglia una volta, ma non manca chi lo schiaccia almeno un paio di volte (19%) o chi posticipa oltre le tre volte (22%).

Le medie imprese valutano l’utilizzo di software pirata per ridurre i costi 

Il 24% delle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 999 è pronto a utilizzare versioni pirata dei software aziendali per ridurre le spese relative all’IT. Al contrario, l’ultimo report di Kaspersky rivela che tra le piccole imprese, quelle con meno di 50 dipendenti, solo l’8% è pronto a fare questo passo. Questa procedura può compromettere seriamente la sicurezza informatica aziendale, poiché gli avversari distribuiscono attivamente file dannosi sotto le sembianze dei software più utilizzati. Secondo Kaspersky Security Network (KSN), in soli otto mesi 9.685 utenti si sono imbattuti in malware e software indesiderati e nascosti dietro le sembianze dei prodotti software più utilizzati dalle piccole e medie imprese. In generale, 4.525 file malevoli o potenzialmente indesiderati sono stati diffusi tramite software per Pmi distribuiti non ufficialmente, compresi quelli piratati.

Alla ricerca di alternative gratuite

Lo studio di Kaspersky ha come obiettivo quello di scoprire quali sono le tattiche di gestione delle criticità che i responsabili aziendali ritengono più efficaci, e come alcune operazioni possano compromettere seriamente la sicurezza informatica di un’azienda. Soluzioni efficaci come la ricerca di fornitori a basso costo, e l’adozione di alternative gratuite al software usato abitualmente, sono le opzioni più apprezzate dagli intervistati, rispettivamente con il 41% e il 32% delle preferenze. Ma il 15% dei responsabili aziendali intervistati sostituirebbe il proprio software con una versione pirata per ridurre i costi.

C’è chi utilizza anche software di cybersecurity piratati

Per quanto riguarda le tipologie di programmi che gli intervistati ritengono di poter sostituire con copie piratate, la maggior parte ha scelto software di project management, marketing e vendite. E il 41% è perfino d’accordo nell’utilizzare un software di cybersecurity piratato.
“La mancanza di risorse è una situazione comune per le piccole e medie imprese, ma l’uso di un software pirata o violato dovrebbe essere assolutamente evitato se un’azienda si preoccupa della sua sicurezza, della sua reputazione e delle sue entrate”, commenta Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky.

Le alternative ufficiali gratuite sono le opzioni migliori

“Le copie pirata solitamente contengono Trojan e miners, e sono prive delle correzioni o delle patch rilasciate dagli sviluppatori per risolvere le vulnerabilità che potrebbero essere sfruttate dai criminali informatici – aggiunge Cesare D’Angelo -. Le alternative ufficiali gratuite sono opzioni migliori per chi ha bisogno di risparmiare sull’IT”.
È infatti possibile utilizzare soluzioni di sicurezza gratuite. Di solito hanno meno funzioni dei prodotti a pagamento, ma possono comunque essere molto utili. È importante scegliere una soluzione basata sui risultati di test indipendenti e scaricarla direttamente dal sito dello sviluppatore.

Caramelle: un mercato maturo in cerca di nuove identità

Il comparto delle caramelle in Italia conta 25 milioni di consumatori abituali e aziende pluricentenarie che hanno addolcito le giornate di intere generazioni. Le consumano 9 italiani su 10: dalle mentine alle gommose, che si contendono la leadership delle preferite con quelle alle erbe balsamiche, in cima alla classifica dei gusti più apprezzati. E a mangiarle sono soprattutto gli adulti, che 8 volte su 10 le comprano per sé e non per i bambini.
Uno studio Bva Doxa, Unione italiana food accende i riflettori sul rapporto degli italiani adulti con questo prodotto dolciario, un rapporto in evoluzione che l’industria cerca di anticipare con innovazioni e nuove funzioni di consumo, diversificando un’offerta già ricca per gusti e formati.

L’export bilancia il calo del mercato interno

Secondo un’elaborazione Unionfood su dati Istat lo scorso anno la produzione di caramelle si è attestata appena sotto le 90mila tonnellate, -6% rispetto al 2020, per un valore di circa 763 milioni di euro. Un dato bilanciato dalle esportazioni: nel 2021 sono state esportate oltre 19mila tonnellate, con un balzo in avanti del 34% rispetto al 2020, e un valore di 64 milioni di euro. Un trend positivo proseguito nei primi sei mesi 2022, con l’export del 28%, per una quantità esportata di oltre 11,6 mila tonnellate e un valore di quasi 40 milioni di euro. A premiare di più è il mercato tedesco, seguito da Paesi Bassi, Stati Uniti, Belgio e Francia).

Il futuro è senza zucchero e nutraceutico

Il settore delle caramelle conta su circa 7.000 addetti, e ora cerca di intercettare i gusti dei consumatori moderni, che preferiscono quelle senza zucchero (56%) a quelle con lo zucchero (+44%). Un segnale di attenzione ad aspetti salutistici che nei prossimi anni potrebbe accelerare un percorso di sviluppo in questa direzione.
“Il consumo delle caramelle classiche è ormai stabile, parliamo di un mercato maturo che non ha spunti verso l’alto – spiega Luigi Serra, produttore e portavoce del progetto Piacere, caramelle di Unione italiana food -. Nel futuro cambierà la specializzazione della caramella: all’estero sono già diffuse le caramelle nutraceutiche: io penso che questa parte funzionale si accentuerà. E poi c’è il megatrend della ‘sottrazione’: meno ingredienti e più qualità”.

Moderna madeleine che evoca la dolcezza del tempo perduto

Le prospettive di sviluppo, riferisce Askanews, non possono non prescindere dall’attuale congiuntura economica, tra inflazione galoppante e rincari delle materie prime.
“Quella delle caramelle – continua Serra – è una produzione energivora, e gli aumenti del costo del gas mandano in difficoltà le aziende, ma l’aggravante sono i costi delle materie prime derivanti dai cereali, come lo sciroppo di glucosio e lo zucchero i cui costi sono raddoppiati”.
Intanto le caramelle provano a resistere, reinventandosi e conservando un posto nella quotidianità degli italiani, che le scelgono come gesto di cura per sé (45%), o regalandosi un viaggio nel passato, moderna madeleine che evoca la dolcezza del tempo perduto.

Smartphone e vacanze: dove e come gli italiani lo hanno rotto nel 2022 

A differenza degli anni precedenti, le vacanze estive 2022 hanno visto partenze più equamente distribuite, già da fine maggio fino a metà settembre.
Il 94% degli italiani è andato in vacanza, e proprio l’Italia è risultata la destinazione di viaggio preferita per le vacanze estive (74%), mentre chi ha scelto l’estero (26%) ha scelto quasi esclusivamente i Paesi europei. Anche quest’anno il WeFix Lab, il Dipartimento Statistico iFix-iPhone.com, ha stilato la classifica di regioni e nazioni in cui gli italiani hanno rotto più di frequente il proprio smartphone. E tra le mete più ‘disgraziate’, c’è la Toscana, con la città di Firenze in testa, seguita da Trentino Alto Adige, Puglia e Sicilia. All’estero, WeFix rileva una forte concentrazione di ‘incidenti’ in Francia, Grecia, Albania e Croazia. 

I luoghi più pericolosi rimangono quelli “bagnati”

Mare, piscine, laghi (34.9%) sono in testa per le ‘rotture’ degli smartphone, mentre gli stadi (24,5%) sono in seconda posizione, probabilmente anche per la riapertura dei concerti dal vivo. Seguono piazze/strade (15,6%), e montagna (13%). Se i giovanissimi e gli over 65 sono stati i più attenti ai loro dispositivi, è la fascia intermedia la più disattenta. Gli uomini, poi, sono gli utenti più distratti (57,8%), contro il 42,2% di donne che hanno rotto il proprio cellulare. La marca in assoluto più riparata è la Apple (72%), con in testa l’iPhone X, che batte Samsung con una richiesta del 17% di riparazioni per il Galaxy S9. La causa è da ricercarsi probabilmente nel costo medio del ricambio e della manodopera che in questo caso risultano essere più alti. 

Mercoledì è il giorno più nero

Il giorno più nero in assoluto per gli smartphone è il mercoledì, con il 17,73% delle richieste, mentre il lunedì, storicamente il giorno peggiore, durante le vacanze si classifica al terzo posto (16.43%). Il week end invece è il momento con meno ‘incidenti’: sabato e domenica infatti si posizionano agli ultimi posti, con rispettivamente il 9,91% e l’8,32% di richieste.  Le riparazioni più effettuate sono la sostituzione dello schermo (38,54%), e una nuova entrata per la memoria piena (12,9%). Colpa dei social che intasano il telefono con foto e video inviati da amici.

La richiesta di riparazione è cresciuta del 14%,

Un altro elemento riguarda la categoria di clienti ‘nomofobici’, ovvero che soffrono il distacco dallo smartphone. I lombardi in questo caso risultano i più ansiosi, mentre toscani e siciliani sono i più ‘rilassati’.  Ma quanto hanno inciso i rincari scatenati dall’inflazione sulla richiesta di riparazione? Abbastanza, infatti la richiesta di riparazione è cresciuta del 14%. Una buona notizia, non solo in termini di risparmio, poiché riparare uno smartphone costa meno rispetto ad acquistarne uno nuovo, ma anche dal punto di vista “green”. Una maggiore sensibilità ambientale induce le aziende a schiudersi al mondo della riparazione, che insieme ad altri settori favorisce la sostenibilità.

La pasta italiana? Sempre più sostenibile

L’attenzione alla sostenibilità è un tema cruciale dei nostri anni: impensabile che anche le filiere produttive non ne tengano conto, specie in fatto di consumi idrici ed energetici. La conferma che le cose stiano cambiando, in positivo, arriva anche dal settore della pasta, fiore all’occhiello dell’agroalimentare italiano: grazie ad un impatto ambientale minimo, la pasta è amica del pianeta e risponde ogni anno a tendenze di consumo ed esigenze sostenibili con l’avvio di nuovi piani.

Un investimento importante

Dall’agricoltura di precisione agli impianti di trigenerazione alimentati a metano, fino al packaging compostabile, ogni anno i pastai italiani investono in media il 10% del proprio fatturato (circa 560 milioni) in ricerca e sviluppo per rendere la produzione e la pasta sempre più moderna, sicura e sostenibile. E anche un piccolo gesto quotidiano, come preparare un piatto di spaghetti, può fare la differenza. Oggi per gli italiani la nuova cultura del cibo passa dal rispetto per l’ambiente. Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso un’alimentazione più sana e sostenibile, un trend che si è rafforzato durante la pandemia: quasi 9 su 10 dichiarano di prestare attenzione agli aspetti di sostenibilità quando sono al supermercato (Fonte: ricerca Unione Italiana Food). La pasta è amica del pianeta con un impatto ambientale, dalla produzione alla trasformazione fino al consumo, decisamente basso (1 mq globale, vale a dire la misura dell’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate durante la produzione) per una porzione di pasta di 80 grammi e un’impronta ecologica minima, appena 150 grammi di CO2 equivalente.

Dal 2013 consumati 270mila metri cubi di acqua in meno

Le imprese sono sensibili al cambiamento green: per 1 impresa su 2 è fondamentale, se non addirittura necessario, puntare sull’innovazione (Fonte: indagine Unione Italiana Food “L’industria alimentare italiana alla prova del futuro. L’innovazione come strategia per garantire cibo accessibile e sostenibile sulle tavole di domani”). E per quanto riguarda la pasta, con i soli investimenti effettuati nel comparto negli ultimi anni, i consumi idrici hanno subito un calo del 20% circa, i rifiuti recuperati sono circa il 95% del totale e l’emissione di anidride carbonica corrispondente (CO2) è diminuita del 21% circa. Per produrre un chilo di pasta, un pastificio usa non più di tre litri d’acqua. Secondo l’ultimo rapporto di sostenibilità di Unione Italiana Food (2020), nel periodo 2013-2019 nell’industria della pasta sono stati risparmiati 270.000 m3 di acqua (-4%), pari a circa 2 Anfiteatri Flavii (Colosseo), 69.000.000 kg di emissioni co2 (-11%) pari a circa 36.300 vetture e sono 19.500.000 kg i rifiuti recuperati (+33% pari a circa un comune di 39.000 abitanti).

Sostenibilità: nuovo record per i prodotti che la comunicano in etichetta

La sostenibilità avanza sulle etichette dei prodotti di largo consumo venduti in supermercati e ipermercati. A misurarne la crescita è l’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy: il 25,6% dei prodotti a scaffale presenta on-pack uno dei 35 claim sulla sostenibilità rilevati, e nel 2021 queste 32.787 referenze (tra food, bevande, cura casa, cura persona e prodotti per animali domestici) hanno realizzato 12,5 miliardi di euro di vendite (+1,2%).
“Siamo di fronte a un universo di valori in veloce evoluzione e ampliamento, che coinvolge un numero crescente di prodotti – spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy -. L’offerta di prodotti con almeno un claim sulla sostenibilità in etichetta è aumentato del +5,3%, mostrando come le aziende siano impegnate su questo fronte e come scelgano di comunicarlo sempre più spesso ai consumatori”.

Quattro cluster tematici

I 35 claim del mondo della sostenibilità sono stati suddivisi in quattro cluster tematici. Nel primo, Management sostenibile delle risorse (tra cui ‘riciclabile’, ‘meno plastica’ e la certificazione Ecolabel) sono stati individuati sull’11,8% dei prodotti. Il loro apporto al sell-out complessivo è del 19,2% e il loro giro d’affari è aumentato del +3,0% rispetto al 2020. Per Agricoltura e allevamento sostenibili, il 10,5% dei prodotti rilevati presenta in etichetta uno dei nove claim di quest’area (ad esempio, ‘senza antibiotici’ o ‘filiera’). La quota sulle vendite totali è del 7,8% e la crescita annua del sell-out +1,1%.

Da Responsabilità sociale a Rispetto degli animali

Le cinque certificazioni del paniere Responsabilità sociale (come FSC, Rainforest Alliance e Fairtrade) accomunano il 6,5% delle referenze, che contribuiscono per il 10,6% alle vendite complessive. Il trend annuo a valore è +3,5%. Inoltre, il 2,4% dei prodotti presenti in supermercati e ipermercati dichiara esplicitamente sulle confezioni l’impegno a tutela degli animali, utilizzando almeno uno dei sei claim rilevati nel cluster Rispetto degli animali ( ‘benessere animale’, ‘no cruelty’ o la certificazione ‘Friend of the Sea’). Complessivamente il loro apporto al sell-out totale è del 4,4% e la crescita +1,6%.

L’indicazione più presente in etichetta: Biologico/EU Organic

Nel corso del 2021 i panieri più dinamici nel mondo della sostenibilità sono stati quello della responsabilità sociale e quello del management sostenibile delle risorse, le cui vendite sono cresciute a un tasso triplo rispetto alla media. Sopra media anche l’andamento annuo del paniere della responsabilità sociale, mentre di poco sotto media è stato il cluster di agricoltura e allevamento sostenibili. In termini di numero di prodotti a scaffale l’indicazione ‘green’ più presente in etichetta si conferma Biologico/EU Organic (10,1% delle referenze), seguita dalla certificazione FSC (5,2%) e dai claim ‘sostenibilità’ e ‘riciclabile’ (entrambi 2,9%). 
Quanto all’andamento delle vendite, i claim che hanno registrato i maggiori aumenti sono stati le certificazioni Ok-Compost (+35,3%) e Rainforest Alliance (+16,3%) e le indicazioni Mater-Bi (+19,4%) e ‘compostabile’ (+16,6%).

Caro bollette: quanto consumano gli elettrodomestici? E a quali non rinunceremmo mai?

Se è vero che gli elettrodomestici ci semplificano la vita, con il prezzo dell’energia alle stelle la tentazione di staccare la spina per abbattere il costo delle bollette è forte.
Basti pensare che in questi primi 8 mesi dell’anno una famiglia tipo ha speso per la sola bolletta elettrica circa 776 euro. Ma quali sono gli elettrodomestici a cui gli italiani non rinuncerebbero mai? Facile.it, con l’aiuto di mUp Research e Norstat, lo ha chiesto a un campione rappresentativo della popolazione nazionale. Inoltre, ha calcolato anche quanto questi apparecchi pesino sulla bolletta, tenendo in considerazione i consumi indicati nelle etichette energetiche dei dispositivi e il prezzo dell’energia applicato nel 2022 nel mercato tutelato per una famiglia tipo. 

Alla lavatrice impossibile rinunciare

Dall’indagine emerge che l’elettrodomestico più amato dagli italiani è la lavatrice. Sarà che l’idea di tornare a lavare a mano i panni spaventa molte persone, di fatto il 62,7% degli intervistati ha dichiarato di non poterne fare a meno. Ma costa fare il bucato in lavatrice? Dal punto di vista dei consumi, considerando una lavatrice in classe A acquistata nel 2020, il costo annuo in bolletta è pari a 91 euro. Al secondo posto, battuto di un soffio, si posiziona il frigorifero, che conquista il 61,7% delle preferenze.
Dal punto di vista dei consumi, questo elettrodomestico rappresenta però uno dei dispositivi più energivori. Considerando che rimane in funzione 24h al giorno, un frigorifero da 350 litri con congelatore integrato, in classe A, comprato più di due anni fa, costa in bolletta 142 euro l’anno.

Televisore, forno e lavastoviglie

Sul gradino più basso del podio si trova il televisore, oggetto ritenuto irrinunciabile dal 40% dei rispondenti. Non sorprende vedere come la percentuale sia nettamente più altra tra gli over 65, dove raggiunge il 55%, mentre crolli al 23% tra gli intervistati con età compresa tra i 18 e i 24 anni. Dal punto di vista dei consumi, ipotizzando un uso giornaliero di 4 ore, un televisore LCD da 40 pollici costa 35 euro l’anno. Quarto e quinto posto sono occupati da due elettrodomestici che spesso troviamo vicini nelle nostre cucine: il forno e la lavastoviglie. Il primo è stato indicato come irrinunciabile dal 19% dei rispondenti, mentre il secondo dal 14,6%. Considerando l’uso di ognuno di essi 1 volta ogni due giorni, il costo in bolletta per un forno elettrico da 70 litri è pari a 62 euro, mentre per una lavastoviglie è di 88 euro.

Condizionatore: il sorvegliato speciale della bolletta

Continuando a scorrere la graduatoria degli elettrodomestici più amati dagli italiani troviamo l’aspirapolvere (11,5%), mentre staccati per poco nelle posizioni basse della classifica si posizionano la macchinetta del caffè (9,7%), l’aria condizionata (9,4%) e il forno a microonde (7,4%). L’ultima posizione è occupata dal ferro da stiro (7%).
Tra questi elettrodomestici, il sorvegliato speciale dal punto di vista dei consumi è il condizionatore, che secondo le stime di Facile.it può costare in bolletta fino a 232 euro.