Assicurazione auto: grazie al web gli italiani risparmiano 

Molti italiani fanno sempre più fatica a risparmiare: la difficile congiuntura economica, il rialzo dell’inflazione e i pesanti rincari sull’energia stanno mettendo a dura prova la capacità di spesa delle famiglie. Insomma, le conseguenze del rialzo generalizzato dei prezzi si possono toccare con mano anche nella cosiddetta ‘economia reale’.  Ma se per contenere la spesa mensile generale molti tendono a ‘tagliare’ beni e servizi considerati superflui, esistono alcuni costi fissi con cui è necessario continuare a confrontarsi. È il caso dell’assicurazione auto, che in Italia è obbligatoria per tutti coloro che possiedono un mezzo a motore, anche se non lo usano regolarmente. Per cercare di ridurre l’entità di questa spesa gli automobilisti si stanno rivolgendo alla rete per individuare le polizze caratterizzate dal miglior rapporto qualità-prezzo.

Stipulare la polizza direttamente online

Il web offre un grande aiuto nella gestione delle spese, soprattutto grazie alle possibilità offerte dai portali di comparazione. Un esempio è 6sicuro, realtà di riferimento nel settore attiva dal 2000, che propone un servizio a 360 gradi, affidabile e gratuito. Più in dettaglio, ogni assicurazione auto su 6sicuro viene selezionata guardando esclusivamente alle proposte più interessanti formulate dalle principali compagnie del settore. Il tutto con la possibilità di poter stipulare direttamente la polizza online. E questo si traduce in un risparmio ulteriore sui costi, poiché evita di dover passare per un intermediario ‘fisico’.

Valutare quale tipo di copertura scegliere

In Italia vige l’obbligo di assicurare il proprio mezzo a motore: tale stipula copre l’intestatario contro i danni derivati in caso di sinistro, tuttavia esistono anche altre garanzie, chiamate coperture accessorie, che possono essere molto utili, e in alcuni casi, anche fortemente raccomandate. È il caso della polizza contro furto e incendio, che tutela il contraente in forma diversa a seconda della tipologia di contratto che si decide di attivare. L’utente, ad esempio, può scegliere di sottoscrivere una copertura solo parziale, per cui la compagnia assicurativa risarcisce solo per un determinato importo. Il costo, ovvero il cosiddetto premio assicurativo, dipende da molte variabili, fra cui il valore vero e proprio dell’auto.

Dalla Kasko all’assistenza in caso di guasto

Un’altra copertura accessoria molto richiesta è la Kasko, che tutela l’intestatario anche qualora sia responsabile dei danni provocati. Inoltre, copre tutti gli incidenti che possono riguardare il veicolo, nonché i danneggiamenti accidentali. Si può anche decidere di assicurare solo alcune parti dell’auto, magari quelle più fragili e più esposte agli incidenti. È il caso della polizza cristalli, che assicura i vetri della macchina qualora siano soggetti a un incidente o a un danneggiamento accidentale, come ad esempio la caduta fortuita di un oggetto.
Molti utenti, poi, in particolare quelli che fanno largo uso della vettura o che per lavoro devono guidare per molte ore, scelgono di sottoscrivere l’assicurazione che prevede l’assistenza in caso di guasto. In questo caso, il sottoscrittore potrà richiedere l’intervento di un carro attrezzi che recuperi l’auto rotta senza costi aggiuntivi.

Per un occupato su 4 “chi trova un amico trova un impiego” 

Negli ultimi dieci anni quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti, conoscenti, o attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo (9%). Tra il 2011 e il 2021 i canali informali di ricerca hanno generato il 56% dell’occupazione: circa 4,8 milioni di posti di lavoro sottratti alla intermediazione ‘palese’. E oltre il 60% dell’occupazione generata dalle piccole imprese private (1-5 e 6-10 addetti), il 40% del totale del settore privato, passa in maniera consistente attraverso l’intermediazione informale. Ma il canale di ricerca cresciuto maggiormente negli ultimi dieci anni è l’autocandidatura, passata dal 13% al 18%, probabilmente anche in relazione al ruolo crescente dei social media.

L’intermediazione digitale rischia di alimentare ulteriormente l’informalità 

È quanto emerge dal policy brief dell’Inapp, che prende in esame i dati dell’indagine Inapp-Plus, sulla dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
“Sebbene solo il 2% degli occupati dichiari di avere trovato lavoro tramite app o social network – commenta Sebastiano Fadda, presidente Inapp – tuttavia, l’intermediazione digitale, se non adeguatamente regolata, rischia di alimentare ulteriormente l’informalità. Basti pensare che si è passati dal 25% degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet durante la fase di ricerca di lavoro, al 50% del 2010, fino al 75% del 2021”.

Si riduce il ruolo dei concorsi pubblici

Tra i canali formali, si riduce il ruolo dei concorsi pubblici (10%, -7% rispetto a dieci anni fa), per effetto della riduzione del perimetro del settore pubblico e del blocco del turn-over nella PA. Si registra, inoltre, un crescente, ma comunque sempre inferiore rispetto ai canali informali, ricorso alle agenzie private e ai job center di istituzioni scolastiche e formative. In un mercato del lavoro esposto a complesse ricomposizioni e transizioni serve un player pubblico che sostenga tutti i processi di allocazione e di riallocazione della forza lavoro. I centri per l’impiego, ad esempio, trattano prevalentemente un’utenza debole (il 32% ha le medie inferiori) e riescono a condurre al lavoro poco più del 4% dell’utenza.

Occorre attribuire un ruolo attivo ai centri per l’impiego

La retribuzione di chi ha trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego è in media 23.300 euro lordi all’anno, contro 35.000 di chi ha vinto un concorso pubblico o 32.600 di chi ha trovato lavoro nell’ambiente professionale. La quota di laureati che hanno trovato lavoro attraverso i Servizi per l’impiego è la più bassa (23%) dopo quella delle agenzie interinali (20%). Dunque, da un lato c’è un problema di carenza di opportunità di qualità e dall’altro l’onere di trattare un’utenza particolarmente fragile.
“Per un miglioramento complessivo del funzionamento del mercato del lavoro i centri per l’impiego devono essere potenziati anche nella loro interconnessione con le imprese, i servizi dell’orientamento, i servizi formativi, gli altri organismi operanti nell’intermediazione – aggiunge Fadda -. Ovvero, ai centri per l’impiego bisogna attribuire un ruolo attivo nel mercato del lavoro e offrire le condizioni per poterlo svolgere”.

Il nuovo paradigma dell’abitare per le famiglie italiane 

In un contesto generale di sfiducia, in cui 10,4 milioni di famiglie dubitano dei propri mezzi economici, 3,4 milioni sono comunque interessate a migliorare la propria condizione abitativa. In questo quadro difficile la casa si conferma quindi un’aspirazione che prescinde dalla congiuntura internazionale.
“La dimensione fisica del bene ‘casa’ unita alla possibilità di fruizione conferiscono all’immobile una connotazione naturalmente difensiva – dichiara Luca Dondi, AD Nomisma -. Ancora una volta, come nel periodo pandemico, bisogna ricorrere all’emotività per capire perché la casa è tornata al centro del villaggio”. 

Mutuo: da trampolino a ostacolo

“Il ruolo del credito è diventato imprescindibile e ha consentito di coniugare l’aspirazione di miglioramento abitativo con la possibilità reale di acquisto, ma è un canale che oggi rischia di ridurre le proprie dimensioni – spiega Dondi -. Il mutuo che è stato il trampolino per tante famiglie oggi può diventare uno scoglio”. Negli ultimi 12 mesi “circa 880 mila famiglie hanno fatto fatica a pagare il canone di affitto e 330 mila famiglie hanno incontrato difficoltà con la rata del mutuo – aggiunge Marco Marcatili, Responsabile Sviluppo Nomisma -. Vulnerabilità che avranno a che fare non tanto con l’attaccamento alla casa, ma incideranno sul sistema di finanziarizzazione e selezione da parte del credito bancario”. 

Le preferenze dopo la pandemia

Le famiglie che hanno una reale capacità di acquisto sono quelle più giovani, fra 18-34 anni (7,9%) e fra 35-44 anni (8%), che vogliono transitare dall’affitto alla compravendita (8,2%), e che hanno un reddito medio elevato. La domanda si concentra sui comuni capoluogo delle Città metropolitane.
“Siamo di fronte a un interesse abitativo che vede due ondate – ribadisce Marcatili -. Se nella fase pre-pandemica la domanda delle famiglie ricadeva sulla casa e non sull’abitare, oggi la situazione è molto diversa. Se prima le famiglie segnalavano come driver d’acquisto il contesto e i servizi, l’emergenza sanitaria ha mostrato le inadeguatezze di questi comfort”.
I nuovi bisogni sono legati, ad esempio, più all’efficienza energetica o alla ricerca di nuovi spazi interni ed esterni, che possano migliorare le relazioni familiari e conciliare vita e lavoro.

Da abitare ‘sociale’ ad abitare ‘arricchito’

Il concetto di ‘abitare sociale’ non è più adatto ai tempi. “È tempo di un nuovo paradigma: ‘l’abitare arricchito’, capace di guardare a tutte le diverse forme di vulnerabilità”, prosegue Marcatili.
L’abitare arricchito è quindi in realtà “una chiave trasformativa della propria fiducia per migliorare la propria condizione familiare – puntualizza Mercatili -. Non esiste una domanda aggregata pronta per l’uso, ma tante storie familiari da aggregare in maniera sociale di cui i fondi, i soggetti della finanza e il pubblico devono farsi carico”.

I prestiti? Servono per sposarsi

Nonostante il tempo passi, gli italiani si confermano dei fan del matrimonio in grande stile. Insomma, per il giorno del sì non ci devono essere rinunce. La riprova è che i nostri connazionali sono tornati a chiedere prestiti personali per sposarsi tanto è vero che, nei primi tre mesi del 2022, il peso percentuale delle richieste di finanziamento per matrimoni e cerimonie è aumentato del 46% rispetto allo stesso periodo del 2021; il 12% in più se confrontato con i livelli pre-pandemia rilevati nel primo trimestre 2019. In base alle stime del comparatore, i finanziamenti erogati nel corso del trimestre per far fronte a questo tipo di spesa equivarrebbero a circa 100 milioni di euro. Lo dice una recente indagine realizzata da Facile.it e Prestiti.it, condotta su un campione di oltre 30.000 domande di prestiti personali.

La cifra richiesta

Per le spese del matrimonio i richiedenti hanno fatto domanda, in media, 9.856 euro, valore in linea con quanto rilevato nel 2019, da restituire in 60 rate (5 anni). In calo, invece, l’età media dei richiedenti, che è passata dai 40 anni del periodo pre-Covid ai 37 anni rilevati nei primi tre mesi del 2022.
“Grazie all’allentamento delle restrizioni il 2022 è visto da molti operatori del settore come l’anno di ripresa per l’industria dei matrimoni e i dati sulla richiesta dei prestiti personali sembrano confermare questo trend”, spiega Aligi Scotti, BU Director prestiti di Facile.it. “Positivo il calo dell’età media dei richiedenti su cui hanno avuto un peso anche le politiche a sostegno dei giovani introdotte dal Governo, in particolare le agevolazioni per l’acquisto della casa e la sottoscrizione di mutui rivolti agli under 36”.
Interessante notare come a presentare richiesta di prestito personale per spese legate ai matrimoni e cerimonie sia stata, nel 40% dei casi, una donna; il valore risulta nettamente superiore alle altre tipologie di prestito personale, dove il campione femminile normalmente rappresenta meno del 25% della domanda.

Più liquidità anche per altri desideri

Allargando l’analisi alle richieste totali di prestiti personali raccolte online emerge che, nel primo trimestre 2022, gli italiani che si sono rivolti ad una società di credito hanno cercato di ottenere, in media, 11.502 euro. Il valore risulta non solo superiore a quello del 2021 (+4%), ma anche più alto rispetto all’importo medio richiesto pre-Covid (11.200 euro nel primo trimestre 2019).
Guardando alle finalità dichiarate in fase di domanda emerge che la prima ragione che ha spinto gli italiani a rivolgersi ad una società di credito è stata la richiesta di liquidità (32%), seguita da quelle per l’acquisto di auto usate (18%). In forte aumento la richiesta per il consolidamento debiti, che rappresenta circa il 15% delle domande; il dato va letto alla luce dell’andamento dei tassi di interesse che, nel primo trimestre dell’anno, sono rimasti estremamente favorevoli offrendo così ai consumatori la possibilità di consolidare debiti già in corso, in alcuni casi anche risparmiando sulla rata del finanziamento.

Fatturazione elettronica: un fattore essenziale per la trasformazione digitale

Oltre il 46% delle Pmi italiane invia e riceve mensilmente tra 10 e 100 fatture elettroniche, e quasi il 40% ne riceve tra 100 e 1000. E gli interlocutori principali per oltre il 71% di chi la utilizza sono altre aziende, per il 17% privati cittadini, e quasi per il 12% la Pubblica Amministrazione. Secondo l’indagine diffusa da Aruba e Idc, il 46% delle aziende che non ha l’obbligo di fatturazione elettronica la utilizza ugualmente.  Questo perché per portare avanti il processo di trasformazione digitale delle imprese, più di 3 Piccole e medie imprese italiane su 4 ritengono essenziale la fatturazione elettronica.

Il livello di adozione della fatturazione elettronica tra le Pmi

Ma in che modo la fatturazione elettronica sta incentivando il processo di digitalizzazione del nostro Paese? La ricerca di Aruba e Idc ha indagato il livello di adozione della fatturazione elettronica tra le Piccole e medie imprese italiane, coinvolgendo un campione di 300 realtà nei diversi comparti, Industria, Commercio, Finanza, Servizi professionali, Servizi alla persona e Pubblica Amministrazione locale.
Dai dati emersi dall’indagine risulta che quasi il 75% delle aziende fino a 5 addetti considera la fatturazione elettronica essenziale per la digitalizzazione della propria azienda.
Un dato che sale all’83% tra le Pmi che contano tra i 6 e i 20 dipendenti, ovvero quelle che assicurano valori maggiori di fatture.

Un aiuto a creare cultura digitale tra le imprese

“I traguardi raggiunti in questi tre anni dalla fatturazione elettronica sono encomiabili – commenta Gabriele Sposato, Direttore Marketing di Aruba -. Come si legge nell’atto della Commissione Europea, l’Italia ha ‘pienamente conseguito’ gli obiettivi prefissati, riducendo i costi amministrativi delle imprese e consentendo loro un risparmio di tempo, spazio e sicurezza di archiviazione. Benefici riscontrati anche dalle Pmi italiane, che hanno compreso come la fatturazione elettronica stia aiutando a creare cultura digitale, e come, sempre più, si stia dimostrando uno strumento essenziale per monitorare in tempo reale il polso dell’economia italiana”.

Estendere l’adempimento anche alle partite Iva in regime forfettario

Aruba ricorda che in data 1° gennaio 2019, attraverso la Legge di Bilancio 2018, veniva esteso l’obbligo della fatturazione elettronica a tutti i soggetti in possesso di Partita Iva. A eccezione di quanti operavano in regime dei minimi e forfettario, riporta Adnkronos. Oggi manca solo il via libera dell’Europa per la proroga fino al 31 dicembre 2024 dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica, e per l’inclusione delle partite Iva in regime forfettario tra i soggetti a cui si potrà ora estendere l’adempimento.

Le piccole e medie imprese vogliono assumere, ma mancano i profili tecnici

Pur nello tsunami del Covid-19, le Pmi italiane hanno dimostrato un’eccezionale resilienza. E non solo: hanno anche continuato ad assumere, cercando di attrarre personale e sviluppare competenze per gestire la trasformazione digitale che sta ridefinendo le tecniche produttive e le relazioni con i clienti. Fin qui, le buone notizie, che confermano l’ottima tenuta del sistema imprenditoriale nazionale. Però non mancano le criticità, prima fra tutte la difficoltà a reperire figure professionali con la giusta formazione tecnica. A rivelarlo è l’ultimo Market Watch Pmi di Banca Ifis, realizzato in collaborazione con Format Research su un campione rappresentativo di 500 aziende, secondo cui l’83% delle imprese dichiara di aver bisogno di assumere personale con nuove competenze. Un trend manifestatosi lungo tutto il triennio 2019-2021 che è confermato anche per i prossimi due anni. Accanto ai profili tecnici, sono ambiti quelli digitali e, in particolare, specializzati in tecnologie 4.0.

Mismatch tra domanda e offerta di competenze

Il report Market Watch Pmi di Banca Ifis individua un mismatch tra domanda e offerta di competenze che emerge con forza sul fronte delle conoscenze tecnico-digitali: il 58% delle aziende che reputa necessarie nuove skill in ambito produttivo non trova il personale ricercato, così anche per il 37% delle imprese che considera fondamentale la capacità di gestione delle tecnologie 4.0. Anche le abilità “soft” risultano difficili da incrociare, in particolare la flessibilità (40%), il problem solving e la capacità decisionale (entrambe al 37%), la gestione dello stress (35%). Quasi la metà delle aziende (48%) si affida al passaparola e alle relazioni territoriali per trovare le persone giuste, il 41% alle società di selezione del personale. Solo il 14% attiva collaborazioni con Università e Istituti Tecnici Superiori e il 6% si rivolge ai centri per l’impiego.

Le figure più richieste

In base ai dati emersi dal report, si scopre anche quali sono le figure più ricercate dalle piccole e medie imprese italiane. Il 59% delle Pmi dichiara di aver bisogno di nuove competenze legate alle tecniche di produzione specifiche per il proprio settore; il 28% di collaboratori in grado di gestire soluzioni digitali; il 26% di profili amministrativi e il 24% di soggetti specializzati nell’industria 4.0. Per l’8%, infine, sono necessarie risorse esperte nell’area Smac (social, mobile, analytics, cloud). Tra l’altro, avvisa ancora l’indagine, la richiesta di conoscenze specifiche continuerà anche nel futuro. Nel prossimo triennio, le figure esperte di tecniche produttive rimarranno le più ricercate (42%), seguite da quelle che possono contare su competenze digitali e 4.0 (entrambe al 39%).

La ripresa economica frena le richieste di credito, ma cresce l’importo medio

Nel terzo trimestre 2021 le esigenze di liquidità delle imprese diminuiscono del -18,8% rispetto al Q3 2020. Il consolidamento della ripresa economica con il conseguente aumento dei flussi di cassa ha quindi attenuato le richieste di credito da parte delle aziende, e dopo il picco del 2020 ne riporta i volumi ai livelli pre-Covid. Allo stesso tempo, si assiste a una crescita per l’importo medio richiesto. È quanto emerge dall’analisi delle istruttorie di finanziamento registrate su EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF. In particolare, il trend in atto riguarda sia le società di capitali, che nel terzo trimestre dell’anno hanno fatto segnare un -13,5%, sia le imprese individuali, per le quali la contrazione è stata del -27,2%, in virtù della progressiva normalizzazione della situazione delle realtà particolarmente esposte agli effetti della pandemia.

Si consolidano le prospettive di crescita economica
“Analogamente a quanto rilevato anche nel precedente trimestre, anche nel terzo trimestre dell’anno si conferma il trend di rallentamento delle richieste di credito delle imprese, che hanno meno tensioni sul fronte della liquidità grazie al progressivo consolidamento delle prospettive di crescita economica – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. – La combinazione tra il miglioramento della congiuntura economica e gli effetti dei provvedimenti straordinari varati per minimizzare l’impatto della pandemia sull’economia reale, in primis le moratorie, hanno avuto un impatto significativo sul contenimento della rischiosità creditizia e questo ha favorito anche politiche di erogazione più distese”.

Robusta crescita per l’importo medio richiesto
Nell’ultimo aggiornamento del Barometro CRIF si conferma anche il deciso incremento dell’importo medio richiesto (+20,5%), che nel terzo trimestre  si attesta a 103.701 euro. Si tratta di una decisa impennata rispetto al valore mediamente richiesto non solo nel 2020, ma anche negli anni precedenti. Complessivamente più di 5 richieste su 10 presenta un importo inferiore ai 20.000 euro, in funzione della preponderanza delle istruttorie riconducibili a micro e piccole imprese. Per quanto riguarda le imprese individuali, le richieste di credito presentano importo medio pari a 37.324 euro (+24,1% rispetto al corrispondente periodo 2020), mentre per le società di capitali l’importo medio richiesto ammonta a 138.206 euro (+14,6%).

L’andamento regionale delle richieste di credito dalle imprese
A livello regionale, nel terzo trimestre del 2021 si registrano contrazioni particolarmente significative delle richieste di credito soprattutto nelle Marche (-25%), Basilicata (-24,7%) e Liguria (-22,9%). Il Trentino-Alto Adige, invece, è la regione caratterizzata dall’importo medio più elevato (151.335 euro), seguita da Lombardia (111.003 euro) e Lazio (106.534 euro). All’opposto, l’ammontare più basso è stato riscontrato in Valle D’Aosta (43.598 euro), Sicilia (57.808 euro) e Sardegna (66.560 euro).

Italiani e Olimpiadi, qual è l’opinione sui Giochi?

Mentre le Olimpiadi di Tokyo sono in pieno svolgimento, senza pubblico a causa del rischio sanitario, Ipsos ha condotto un sondaggio per capire quale sia l’opinione pubblica in merito all’evento da parte dei cittadini di 28 paesi del mondo. Poiché la ricerca è stata svolta poco prima dell’avvio dei Giochi, emerge soprattuto una grande percentuale (il 57%) che avrebbe preferito far slittare ancora l’evento, contro un 43% che invece si dichiara concorde sullo svolgimento. I meno convinti in assoluto sono i padroni di casa, i giapponesi: il 78% è contrario rispetto al 22% a favore. Tuttavia, il 62% in tutto il mondo è d’accordo che i Giochi saranno un’importante opportunità per il mondo di riunirsi, insieme, dopo la pandemia.

Italiani più ottimisti

Come la pensano in merito i nostri connazionali? E a quali sport saranno più interessati? Il sondaggio risponde evidenziando che il 58% degli italiani è a favore che la competizione si svolga, mentre, il 42% è in disaccordo. Le Olimpiadi possono essere considerate un momento per ritornare a essere tutti più uniti? Il 78% degli italiani non ha dubbi ed è convinto di sì, a differenza del 22% che rimane scettico.
Quanto sono interessati gli italiani a questa manifestazione? I risultati evidenziano che il 12% è davvero interessato, il 36% è alquanto coinvolto, il 31% non è molto partecipe e infine il 21% non è per nulla interessato. Delle innumerevoli discipline proposte alle Olimpiadi è stato chiesto quali siano gli sport preferiti e dati alla mano, i primi tre che hanno riscontrato maggiore interesse per gli italiani sono stati: l’atletica con il 32%, gli sport acquatici con il 30% e il calcio con il 26%.

Quanto contano i valori dello sport? E i vaccini?

Agli italiani è stato poi chiesto se questa manifestazione possa in qualche modo essere d’ispirazione alle generazioni del domani per partecipare e essere ancora più uniti attraverso i valori dello sport. I risultati sono stati convincenti e circa l’82% delle persone è convinta di sì, mentre il restante 18% è contraria. È stato anche domandato se i fondi governativi dovessero essere usati a supporto degli atleti per le Olimpiadi e ancora una volta, la maggioranza (71%) si è espressa a favore e la minoranza (29%) a sfavore. Altre domande sono state: questo grande evento unirà ancor di più il nostro Paese? Il 75% degli italiani non ha dubbi, mentre, il 25% è in disaccordo. Esiste tanto nazionalismo alle Olimpiadi? La maggioranza degli italiani non è d’accordo (59%), mentre, la minoranza (41%) è a favore. Un’ultima domanda ha riguardato la priorità dei vaccini nei confronti degli atleti impegnati durante la competizione e ben il 75% degli italiani è stato d’accordo, mentre il 25% in totale disaccordo.

Il 55% delle fatture viene saldata in ritardo

Tra chiusure forzate, limitazioni e ritardi nei pagamenti in queste settimane si parla spesso delle difficoltà affrontate dalle imprese italiane. Ma c’è un’altra categoria che sta soffrendo la crisi economica, le partite IVA, con il triste primato di una fattura su due che non viene pagata. I professionisti faticano più delle aziende a restare a galla: secondo uno studio del Gruppo Irec su oltre 1000 liberi professionisti l’ultimo trimestre 2020 è stato chiuso con una media di oltre il 55% delle fatture non pagate a scadenza. Secondo gli ultimi dati Eurostat, in Italia sono 4,6 milioni le partite Iva, circa il 17,5% dei cittadini di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Appare evidente quanto le loro difficoltà possano ripercuotersi su tutto il tessuto economico.

I settori più colpiti e la mappa dei ritardi

I settori più colpiti sono la ristorazione, il turismo e il settore alberghiero, dove i ritardi nei pagamenti raggiungono addirittura il 71% delle fatture, con differenze importanti anche tra le Regioni. I ritardi più significativi, riporta Askanews, si registrano in Sicilia (fatture pagate in ritardo 78%, il 31% con ritardo maggiore di 90 giorni), Sardegna (fatture pagate in ritardo 74%, il 29% con ritardo maggiore di 90 giorni) e Umbria (fatture pagate in ritardo 73%, il 26% con ritardo maggiore di 90 giorni).

Professionisti che generano lavoro e fanno girare l’economia

“L’esercito delle partite Iva è composto da professionisti particolarmente produttivi, che generano lavoro anche per altri individui e fanno girare l’economia in modo importante. Eppure, gli aiuti statali offerti a tale categoria sono stati decisamente insufficienti – spiega il presidente del Gruppo IREC, Victor Khaireddin -. Inoltre, interrogando circa 100 consulenti del lavoro che gestiscono contratti di migliaia di lavoratori subordinati o di collaborazione, abbiamo constatato che l’84% di questi non si è visto rinnovare il contratto scaduto nei mesi della pandemia, obbligando un numero considerevole di persone ad attingere agli ammortizzatori sociali. Questa percentuale arriva addirittura al 92% nei tre settori maggiormente colpiti”.

Più flessibili di un’azienda, ma più vulnerabili

“I professionisti hanno certamente una struttura più flessibile rispetto a una grande azienda, ma hanno spesso meno risorse e un minore cash flow, e questo può renderli più vulnerabili – prosegue Khaireddin -. A questo punto viene da chiedersi, se queste persone non hanno più un introito e gli strumenti introdotti da parte del governo non sono sufficienti, come spesso abbiamo visto fin ora, che misura di sostegno si intende attuare? E, soprattutto, questo esercito di partite Iva e dipendenti che attingeranno nei prossimi mesi ad ammortizzatori sociali, creeranno un conto molto importante. Come ha intenzione il governo di rientrare di tali somme? – si chiede Khaireddin?-. Tutto questo sta producendo un conto enormemente salato che prima o poi ci verrà presentato”.

L’impatto del Covid-19 sulle esecuzioni immobiliari

Fino all’arrivo del Covid-19 in Italia la performance delle esecuzioni immobiliari risultava in miglioramento, con una durata media delle procedure passata da 5 a 4,7 anni. L’emergenza sanitaria e il lavoro da remoto hanno contribuito ad accelerare la digitalizzazione dei processi in 5 dei principali tribunali italiani su 10; di contro, la pandemia ha avuto un impatto diretto su aste (-85%) e fallimenti (-33,3%), e il blocco delle procedure giudiziali ha rallentato il recupero di efficienza. È quanto emerge dall’Osservatorio NPE, realizzato da CRIBIS Credit Management, che ha l’obiettivo di fornire una visione complessiva e aggiornata del mercato italiano dei crediti deteriorati.

Durata media complessiva in lieve riduzione

Relativamente alle esecuzioni immobiliari, nel periodo 2015-2019 è stata registrata una variazione complessivamente negativa a livello nazionale, con la chiusura di circa 384.000 esecuzioni immobiliari a fronte di 305.000 procedure aperte. La modalità di chiusura delle procedure mostra che il 79% delle procedure monitorate negli ultimi 5 anni ha seguito un normale decorso, mentre il 9% è stato chiuso per inefficacia e il 6% per via stragiudiziale. La durata media complessiva risulta in lieve riduzione, passando da 5 anni nel triennio 2015-2017 ai 4,76 anni dell’ultima rilevazione, per effetto principalmente di un miglioramento delle performance nelle regioni del Sud Italia.

Un brusco calo nel 2020

Le procedure concorsuali aperte (69.000) negli ultimi 5 anni bilanciano quelle chiuse (72.000). Il trend, lievemente decrescente fino al 2019, ha subito un brusco calo nel 2020 indotto dall’emergenza Coronavirus. L’area geografica dove le procedure hanno una durata più contenuta (circa 5 anni) sono Nord Ovest e Nord Est, sostanzialmente allineati nel biennio 2018-2020. Seguono il Centro (6 anni), in netto miglioramento nel 2018-2020, e il Sud (6,6 anni) con una tendenza sostanzialmente stabile. Considerando la natura giuridica, la durata media più breve è associata alle società a responsabilità limitata (6 anni, e 4 per le Srl a socio unico), mentre le società per azioni sono caratterizzate da procedure più lunghe (11,6 anni).

Calano aste e fallimenti

In generale, si registra un incremento della durata media delle procedure all’aumentare delle dimensioni della società, in particolare per quelle con un attivo superiore a 10 milioni di euro. L’Osservatorio evidenzia poi un netto calo delle aste pubblicate nella fase del primo lockdown nazionale, in media pari all’85% tra marzo e maggio 2020, rispetto ai valori di fine febbraio. A questo è seguito un rimbalzo tra luglio e settembre, a causa dell’allentamento delle misure restrittive durante i mesi estivi. Analogamente, a partire da marzo, anche il numero dei fallimenti ha registrato una netta contrazione (-33,3%) rispetto agli stessi mesi degli anni precedenti.