Property porn, guardare gli annunci immobiliari senza acquistare

Cos’è il property porn? È una pratica a cui si dedica un italiano su tre, ovvero quella di sfogliare gli annunci immobiliari senza avere intenzione di acquistare una casa, ma solo per curiosità, o per sognare abitazioni favolose o anche solo per tenersi aggiornati sui prezzi delle abitazioni. Dai risultati di u sondaggio condotto da Immobiliare.it su circa 2.000 utenti di tutte le fasce d’età attivi sul portale, il 33% ammette di utilizzare il sito non solo per cercare casa, ma anche come fonte di svago, una percentuale che sale fino al 47% negli under 25.

I giovanissimi fantasticano su abitazioni al di là delle loro possibilità

Più della metà dei giovani e giovanissimi (56%), ovvero gli utenti compresi nella fascia 25-35 e gli under 25, dichiara di guardare gli annunci pubblicati sul portale non solo per trovare la casa in cui vivere, ma anche, ad esempio, per cercare ispirazioni di arredamento. E ben il 23% degli under 25 lo fa per fantasticare su proprietà al di là delle proprie possibilità. In generale, anche se la maggioranza degli italiani (58%) ha utilizzato il sito anche in periodi della vita in cui non stava attivamente cercando casa, il 35% degli intervistati ha comunque confermato di voler cambiare casa entro l’anno. Un’esigenza, anche questa volta, che riguarda soprattutto il pubblico giovane, con percentuali che negli under 35 superano il 40%.

Agli italiani piace sognare in grande

In ogni caso, agli italiani piace sognare in grande. Il 53% dichiara infatti di entusiasmarsi nel guardare soluzioni abitative da sogno, con picchi del 61% tra gli utenti più maturi, quelli compresi nella fascia d’età 45-60 e over 60. Un quarto degli utenti, tuttavia, si dice frustrato da questa attività, dal momento che si tratta di case che non riuscirà mai a permettersi. Percentuale che raggiunge quasi il 30% quando a rispondere sono i Millennials e la Gen Z. Questi ultimi sono anche i più invidiosi, il 25% vorrebbe infatti essere il proprietario degli immobili che si diverte ad ammirare attraverso lo schermo.

Le case dei Vip
Il vero sogno proibito degli italiani però rimangono le case a due passi dal mare (32%), o le costruzioni ultramoderne dal sapore contemporaneo (27%). Quanto alle case dei Vip, in generale gli italiani non sembrano essere particolarmente affascinati dalla vita privata dei Vip, almeno, per le loro scelte abitative. Tra chi li segue sui social soltanto il 13% conosce il quartiere dove vivono o ha visto foto delle loro case. Ma il trend, riporta Ansa, cambia quando si parla della Gen Z: per il 27% di loro le case dei propri beniamini non hanno segreti. Sono anche gli unici a essere interessati a prendere parte a un tour per visitare le case dei personaggi famosi. Un’attività molto apprezzata all’estero: il 36%, infatti, si dice pronto a prenotare il posto se ne avesse l’occasione.

I tavoli di design

Una delle tendenze che continua a far registrare numeri al rialzo da qualche tempo a questa parte, è quella relativi ai tavoli di design. Gli italiani infatti, sembrano avere riscoperto il piacere di portare in casa degli arredi che non abbiano semplicemente una funzione pratica ma che al contrario siano in grado di apportare un certo contributo di arte ed espressività in casa. È questo ad esempio il caso dei tavoli di design, che possono essere considerati a tutti gli effetti delle vere e proprie opere d’arte sempre esposte. Questi sono infatti in grado di catturare gli sguardi di chi entra in casa nostra grazie alle forme particolari ce li contraddistinguono, frutto della fantasia di chi li realizza e che ha la capacità di far viaggiare l’immaginazione di chi li osserva.

I tavoli come opere d’arte

I tavoli vanno infatti oggi pensati assolutamente come delle vere e proprie opere d’arte che sono esposte, semplicemente in maniera orizzontale. Essi presentano infatti delle particolari forme artistiche, che possono essere astratte o meno, dei colori e forme particolari che manifestano tutta la capacità dell’artista di osare.

Non è un caso se alcuni tra questi tavoli di design vengono definiti “opere d’arte”, in quanto riescono a introdurre chi li osserva all’interno dell’opera stessa, proprio come avviene quando ci si perde davanti ad un bel dipinto e si riescono a distinguere sempre nuovi dettagli e particolari.

Un tavolo adatto ad ogni living o cucina

Esistono tavoli di design di ogni forma, colore, altezza e dimensione e dunque non ti sarà difficile trovare quel che maggiormente si adatta agli ambienti di casa tua nei quali hai deciso di inserirne uno.

La scelta è infatti ampia e l’effetto finale dipende in buona parte dalla creatività e dalla manualità che l’artigiano che avrà realizzato il pezzo specifico è in grado di esprimere. Certamente un tavolo di design è la soluzione giusta se desideri acquistare un arredo in grado di far accrescere il valore artistico di casa.

I lockdown rafforzano il legame tra genitori e figli

In un anno segnato dalla pandemia è di primario interesse comprendere se e in che modo la quarantena abbia influito sui rapporti familiari, in particolare, tra genitori e figli. Per questo motivo, Kinder ha commissionato a Ipsos uno studio internazionale su un campione di genitori e figli di età compresa tra i 7 e i 15 anni. Si tratta della seconda edizione del Kinderometro, che indaga proprio l’evoluzione della genitorialità e i fattori chiave coinvolti nello sviluppo dei ragazzi. Obiettivo, cogliere tutte le opportunità per rafforzare il legame con i genitori attraverso i piccoli momenti di condivisione.

Un legame positivo ancora più forte

Dal quadro generale che emerge dal Kinderometro sebbene il 2020 talvolta sia stato difficile ha rafforzato il legame che unisce i genitori e i loro figli. Tanto che il primo periodo di quarantena ha rappresentato un’opportunità per condividere più del solito i momenti di semplicità quotidiana. Inoltre, se essere un buon genitore significa fornire un quadro di regole definito, significa anche consentire ai figli di essere indipendenti. Sport, lettura e attività manuali rispecchiano questo mix di disciplina e autonomia, e durante il lockdown la condivisione di queste attività ha contribuito sia allo sviluppo delle capacità cognitive e del benessere fisico dei ragazzi sia della loro creatività, fiducia in sé stessi e personalità.

Le sfide lanciate al ruolo del genitore moderno

In particolare, l’attività fisica rappresenta uno dei pilastri più importanti per la crescita e lo sviluppo dei bambini, e il 74% degli intervistati lo pratica insieme. Fare attività sportiva insieme permette infatti di condividere un momento divertente, ma è anche un modo per i genitori di contribuire all’istruzione e allo sviluppo dei loro figli. Quanto alla tecnologia, la vita digitale dei ragazzi è l’esempio perfetto delle sfide lanciate al ruolo del genitore moderno. Il tempo trascorso davanti agli schermi rappresenta infatti il punto più spinoso del loro rapporto, e la fonte di discussione più significativa. Anche perché i ragazzi dai 7 ai 15 anni sono nativi digitali, e l’uso degli schermi è elevato indipendentemente dall’età.

Una diversa percezione dei potenziali pericoli della tecnologia

Se generalmente genitori e figli concordano sui vantaggi offerti dagli schermi hanno però una diversa percezione dei potenziali pericoli: i genitori ne individuano i rischi, come la minore socializzazione, mentre i ragazzi ne sono meno consapevoli. Dallo studio emerge però che i ragazzi italiani usano i social network e i giochi sensibilmente meno della media dei Paesi coinvolti dal Kinderometro. E se dal confronto internazionale emerge una sostanziale omogeneità della situazione generale, i genitori italiani hanno approfittato molto più degli altri della quarantena per svolgere più del solito attività con i loro figli. Anzi, hanno continuato a svolgerle con la stessa frequenza del periodo di quarantena anche una volta finito il lockdown.

Per Visa un miliardo di pagamenti contactless in più in Europa

Un miliardo di pagamenti contactless aggiuntivi: è quanto ha processato Visa in Europa in meno di un anno. Un traguardo raggiunto da Visa grazie a una maggiore fiducia dei consumatori verso i pagamenti touch free, ma soprattutto da quando 29 paesi in tutta Europa hanno aumentato la soglia dei pagamenti contactless in risposta alla pandemia da Covid-19. La crescita dei pagamenti contactless, uno dei trend chiave emersi durante la pandemia, mostra come questi siano passati dall’essere una semplice comodità a una vera e propria necessità, sia per i consumatori sia per gli esercenti. Una ricerca effettuata da Visa rileva infatti come due terzi (65%) dei consumatori a livello mondiale preferirebbe utilizzare i pagamenti contactless anche più di quanto fa abitualmente.

Una forma di pagamento che combina velocità e convenienza alla sicurezza

“La domanda di pagamenti touch-free indica che il contactless è diventato per consumatori ed esercenti europei la nuova normalità – spiega Charlotte Hogg, Chief Executive Officer Europe di Visa -. I pagamenti contactless sono diventati popolari perché combinano velocità e convenienza con la sicurezza. Infatti, le carte contactless possiedono il tasso di frode più basso di qualsiasi altra tipologia di pagamento, e nei paesi in cui i pagamenti contactless vengono più utilizzati, le frodi nei punti vendita sono ai minimi storici. L’abilitazione di pagamenti contactless sarà la chiave della ripresa economica in Europa – aggiunge Hogg – dal momento che darà ai consumatori fiducia nello spendere, e fornirà a negozi, ristoranti e altri retailer una spinta proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno”.

L’80% delle transazioni Visa all’interno dei negozi attualmente è contactless

Secondo la ricerca, la domanda crescente di transazioni contactless è evidente in tutta Europa, con oltre l’80% dei pagamenti Visa all’interno dei negozi attualmente contactless. In Francia e Germania, ad esempio, il numero di transazioni contactless è aumentato rispettivamente di due terzi e di quasi la metà rispetto all’anno precedente. Del miliardo di transazioni, 400 milioni hanno avuto luogo nel Regno Unito, e ci si può aspettare un’ulteriore crescita a seguito dell’annuncio dell’innalzamento della soglia dei pagamenti contactless a 100 sterline entro fine anno.

Gli esercenti si spostano sempre più verso le operazioni online

La popolarità dell’e-commerce sta aumentando in tutta Europa, e a dicembre 2020 oltre 15 paesi hanno registrato una crescita del 40%, o più, delle transazioni online rispetto all’anno precedente. Poiché molte imprese sono tenute a operare sottostando a misure restrittive, e a tenere il passo con il cambio di comportamento dei consumatori, gli esercenti si stanno spostando sempre più verso le operazioni online, adottando i pagamenti digitali e contactless.

Quanto valgono le nostre case? I dati provvisori sui prezzi delle abitazioni

Secondo le stime preliminari dell’Istat nel quarto trimestre 2020 l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dagli italiani, il cosiddetto IPAB, aumenta dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, e dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2019. L’aumento tendenziale dell’IPAB è dovuto sia ai prezzi delle abitazioni nuove, che crescono dell’1,7%, in rallentamento rispetto al trimestre precedente (+3,0%), sia a quelli delle abitazioni esistenti, che aumentano dell’1,4%, in accelerazione rispetto al terzo trimestre 2020 (+0,7%). Andamenti che si manifestano in un contesto di crescita vivace dei volumi di compravendita: l’incremento tendenziale registrato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale nel quarto trimestre 2020 è infatti del +8,8%. Mentre nel trimestre precedente era del +3,0%.

Nel 2020 i prezzi delle abitazioni aumentano dell’1,9%

Su base congiunturale l’aumento dell’IPAB (+0,3%) è dovuto unicamente ai prezzi delle abitazioni esistenti, che registrano un incremento pari allo 0,3%, mentre quelli delle abitazioni nuove diminuiscono dello 0,3%. In media, nel 2020, i prezzi delle abitazioni aumentano dell’1,9%. I prezzi delle abitazioni nuove fanno infatti registrare un +2,1%, mentre quelli delle abitazioni esistenti, che pesano per oltre l’80% sull’indice aggregato, crescono dell’1,9%. Rispetto alla media del 2010, primo anno per il quale è disponibile la serie storica dell’IPAB, nel 2020 i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 15,0%, mentre il tasso di variazione acquisito dell’IPAB per il 2021 è pari al -0,3%

Una crescita trainata da Sud e isole

Nel quarto trimestre la crescita tendenziale dei prezzi delle abitazioni su base annua è trainata da Sud e Isole (+3,0%). I prezzi crescono, ma in modo meno marcato nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, rispettivamente, pari al +1,7% e al +1,8%, e di poco nel Centro (+0,2%). Nel quarto trimestre a Milano i prezzi delle abitazioni aumentano, su base annua, del 7,4%, confermando una crescita sostenuta sebbene in decelerazione rispetto al trimestre precedente (era +12%). A Torino e a Roma, invece, i prezzi delle abitazioni sono in calo (rispettivamente del 2,0% e dello 0,5%).

Nell’anno del Covid si registra la crescita più ampia

Insomma, come si legge nel comunicato dell’Istat, “Nel 2020, l’anno dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, i prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie registrano la crescita più ampia in media d’anno da quando è disponibile la serie storica dell’indice IPAB”.

Rispetto alla media del 2010, nel 2020 però i prezzi delle abitazioni sono comunque inferiori del 15%. Tra le grandi città, è Milano che registra per il quinto anno consecutivo un incremento, e torna per la prima volta a superare il livello dei prezzi del 2010, quando si attestavano al +5,6%. I dati indicano una crescita anche per i prezzi delle abitazioni a Roma, riporta Ansa, che dopo tre anni di flessioni nel 2020 crescono dello 0,8%. Nella Capitale però il livello dei prezzi è ancora inferiore del 27,5% rispetto al 2010.

Donne ancora penalizzate, ma c’è chi si reinventa tra artigianato e innovazione

Nonostante sia aumentato il numero di donne lavoratrici, la disparità di genere nel mercato del lavoro è ancora molto elevata. L’Italia è tra i Paesi in una situazione critica, con 8 punti percentuali di divario rispetto alla media Ue, attestata all’11,5% (2017). Una disparità che dipende soprattutto dalle responsabilità di assistenza, in particolare la genitorialità, che spesso ricadono unicamente sulle donne. A confermare la situazione anche quanto si è verificato nell’ultimo anno: il 55,9% dei posti di lavoro persi per gli effetti della crisi sanitaria ha coinvolto l’occupazione femminile. In particolare, tra il secondo semestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020 sono stati persi 470 mila posti di lavoro al femminile, a fronte del totale di 841mila, con un incremento di 707mila donne inattive (+8,5%).

Gli effetti della pandemia sull’occupazione femminile

È quanto sottolinea un’elaborazione dati realizzata da Inrete per SumUp, fintech nel settore dei pagamenti digitali con mobile Pos. Secondo la ricerca rilevante è anche l’impatto che ha avuto l’avvio della didattica a distanza sulle professioni. Per assistere i figli molte donne si sono trovate costrette a ridurre l’investimento sul lavoro, a usufruire di permessi e aspettative, e in alcuni casi anche ad abbandonare definitivamente l’occupazione. La riduzione maggiore dei livelli occupazionali durante la pandemia ha colpito la fascia giovanile di età compresa tra i 25 e i 39 anni, fra cui la quota di donne con figli a carico è significativamente elevata. La pandemia ha rievocato quindi messaggi e stereotipi che, con molta fatica, erano in via di derubricazione. Su tutti quello che pone la figura femminile ambientata nello scenario domestico.

Storie di piccole imprenditrici che hanno saputo reinventarsi

Per bilanciare dati statistici non rassicuranti SumUp ha raccolto storie di artigiane e piccole imprenditrici che hanno saputo reinventarsi, o che hanno individuato in un periodo di incertezza uno stimolo per fare della propria passione una vera e propria professione o forma di business. C’è la laureata in storia dell’arte che si è dedicata alla propria passione, la cucina, diventando chef per offrire servizi di catering, event planning, private chef, lezioni di cucina e food experience a privati e aziende. Ma c’è anche chi ha rivoluzionato la propria vita e si è reinventata un lavoro, proponendosi come fiorista e flower stylist, o ancora chi si è data all’artigianalità, sempre seguendo le proprie passioni, creando una linea di t-shirt dipinte a mano e stampate in cotone organico o pezzi unici di arredamento. Rigorosamente fatti a mano.

Il 55% delle fatture viene saldata in ritardo

Tra chiusure forzate, limitazioni e ritardi nei pagamenti in queste settimane si parla spesso delle difficoltà affrontate dalle imprese italiane. Ma c’è un’altra categoria che sta soffrendo la crisi economica, le partite IVA, con il triste primato di una fattura su due che non viene pagata. I professionisti faticano più delle aziende a restare a galla: secondo uno studio del Gruppo Irec su oltre 1000 liberi professionisti l’ultimo trimestre 2020 è stato chiuso con una media di oltre il 55% delle fatture non pagate a scadenza. Secondo gli ultimi dati Eurostat, in Italia sono 4,6 milioni le partite Iva, circa il 17,5% dei cittadini di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Appare evidente quanto le loro difficoltà possano ripercuotersi su tutto il tessuto economico.

I settori più colpiti e la mappa dei ritardi

I settori più colpiti sono la ristorazione, il turismo e il settore alberghiero, dove i ritardi nei pagamenti raggiungono addirittura il 71% delle fatture, con differenze importanti anche tra le Regioni. I ritardi più significativi, riporta Askanews, si registrano in Sicilia (fatture pagate in ritardo 78%, il 31% con ritardo maggiore di 90 giorni), Sardegna (fatture pagate in ritardo 74%, il 29% con ritardo maggiore di 90 giorni) e Umbria (fatture pagate in ritardo 73%, il 26% con ritardo maggiore di 90 giorni).

Professionisti che generano lavoro e fanno girare l’economia

“L’esercito delle partite Iva è composto da professionisti particolarmente produttivi, che generano lavoro anche per altri individui e fanno girare l’economia in modo importante. Eppure, gli aiuti statali offerti a tale categoria sono stati decisamente insufficienti – spiega il presidente del Gruppo IREC, Victor Khaireddin -. Inoltre, interrogando circa 100 consulenti del lavoro che gestiscono contratti di migliaia di lavoratori subordinati o di collaborazione, abbiamo constatato che l’84% di questi non si è visto rinnovare il contratto scaduto nei mesi della pandemia, obbligando un numero considerevole di persone ad attingere agli ammortizzatori sociali. Questa percentuale arriva addirittura al 92% nei tre settori maggiormente colpiti”.

Più flessibili di un’azienda, ma più vulnerabili

“I professionisti hanno certamente una struttura più flessibile rispetto a una grande azienda, ma hanno spesso meno risorse e un minore cash flow, e questo può renderli più vulnerabili – prosegue Khaireddin -. A questo punto viene da chiedersi, se queste persone non hanno più un introito e gli strumenti introdotti da parte del governo non sono sufficienti, come spesso abbiamo visto fin ora, che misura di sostegno si intende attuare? E, soprattutto, questo esercito di partite Iva e dipendenti che attingeranno nei prossimi mesi ad ammortizzatori sociali, creeranno un conto molto importante. Come ha intenzione il governo di rientrare di tali somme? – si chiede Khaireddin?-. Tutto questo sta producendo un conto enormemente salato che prima o poi ci verrà presentato”.

L’impatto del Covid-19 sulle esecuzioni immobiliari

Fino all’arrivo del Covid-19 in Italia la performance delle esecuzioni immobiliari risultava in miglioramento, con una durata media delle procedure passata da 5 a 4,7 anni. L’emergenza sanitaria e il lavoro da remoto hanno contribuito ad accelerare la digitalizzazione dei processi in 5 dei principali tribunali italiani su 10; di contro, la pandemia ha avuto un impatto diretto su aste (-85%) e fallimenti (-33,3%), e il blocco delle procedure giudiziali ha rallentato il recupero di efficienza. È quanto emerge dall’Osservatorio NPE, realizzato da CRIBIS Credit Management, che ha l’obiettivo di fornire una visione complessiva e aggiornata del mercato italiano dei crediti deteriorati.

Durata media complessiva in lieve riduzione

Relativamente alle esecuzioni immobiliari, nel periodo 2015-2019 è stata registrata una variazione complessivamente negativa a livello nazionale, con la chiusura di circa 384.000 esecuzioni immobiliari a fronte di 305.000 procedure aperte. La modalità di chiusura delle procedure mostra che il 79% delle procedure monitorate negli ultimi 5 anni ha seguito un normale decorso, mentre il 9% è stato chiuso per inefficacia e il 6% per via stragiudiziale. La durata media complessiva risulta in lieve riduzione, passando da 5 anni nel triennio 2015-2017 ai 4,76 anni dell’ultima rilevazione, per effetto principalmente di un miglioramento delle performance nelle regioni del Sud Italia.

Un brusco calo nel 2020

Le procedure concorsuali aperte (69.000) negli ultimi 5 anni bilanciano quelle chiuse (72.000). Il trend, lievemente decrescente fino al 2019, ha subito un brusco calo nel 2020 indotto dall’emergenza Coronavirus. L’area geografica dove le procedure hanno una durata più contenuta (circa 5 anni) sono Nord Ovest e Nord Est, sostanzialmente allineati nel biennio 2018-2020. Seguono il Centro (6 anni), in netto miglioramento nel 2018-2020, e il Sud (6,6 anni) con una tendenza sostanzialmente stabile. Considerando la natura giuridica, la durata media più breve è associata alle società a responsabilità limitata (6 anni, e 4 per le Srl a socio unico), mentre le società per azioni sono caratterizzate da procedure più lunghe (11,6 anni).

Calano aste e fallimenti

In generale, si registra un incremento della durata media delle procedure all’aumentare delle dimensioni della società, in particolare per quelle con un attivo superiore a 10 milioni di euro. L’Osservatorio evidenzia poi un netto calo delle aste pubblicate nella fase del primo lockdown nazionale, in media pari all’85% tra marzo e maggio 2020, rispetto ai valori di fine febbraio. A questo è seguito un rimbalzo tra luglio e settembre, a causa dell’allentamento delle misure restrittive durante i mesi estivi. Analogamente, a partire da marzo, anche il numero dei fallimenti ha registrato una netta contrazione (-33,3%) rispetto agli stessi mesi degli anni precedenti.

I trend dell’innovazione del 2021? Dalla dieta “plant based” al benessere mentale fino al cashless

Sarà sempre la tecnologia, in tutti gli ambiti, a guidare i trend per le innovazioni del 2021. Per scoprire in anteprima quali saranno le tendenze clou del nuovo anno, TechVocacy – piattaforma aggiornata con oltre 500 fonti e che raccoglie migliaia di contenuti internazionali –  ha individuato i cinque trend che avranno un forte impatto nel prossimi 12 mesi. “Nel corso di tutto l’anno analizziamo articoli, dati, ricerche, report e qualunque tipo di informazione presente online e, per ogni settore monitorato, individuiamo alcuni temi ricorrenti sui quali si concentra l’interesse di aziende e startup, oltre che dei consumatori. I risultati delle nostre ricerche si basano sulla convergenza di tre macro forze ovvero la tecnologia che nasce e viene diffusa sul mercato, il consumatore con i suoi bisogni e desideri e, infine, i business model e la loro evoluzione che determinano gli indirizzi degli investimenti. Questi tre elementi a nostro avviso sono quelli che danno vita ai cambiamenti dell’innovazione” ha spiegato all’Ansa Riccardo Secco Founder di TechVocacy.

Dal benessere mentale alla “plant based” revolution

L’indagine evidenzia, anche se ce ne siamo accorti tutti, che questo 2020 ha messo a dura prova il nostro benessere mentale. La riprova? Solo lo scorso settembre ci sono state 1,8 milioni di ricerche su Google per il termine “ansia”, con un aumento del 20% rispetto al 2019. Da questo evidente bisogno scaturiscono prodotti e soluzioni tecnologici dedicati, come le app B2C, supporti per dormire bene, applicazioni per meditare e liberare il cervello, piattaforme di supporto psicologico e programmi di corporate wellness. Un’altra tendenza che riguarda a 360 gradi i nostri consumi è quella che privilegia i prodotti privi di derivati animali, sia per motivi di salute sia per una sempre maggiore attenzione all’ambiente e alla natura. Ecco che anche le grandi catene del fast food hanno iniziato a proporre hamburger a base vegetale, altri celebri brand stanno studiano alternative al latte e allo yogurt, e pure il settore della moda sta scoprendo nuovi filati totalmente sostenibili e “verdi”.

I social? Non sono più un posto per giovani

A sorpresa, si scopre che i più giovani stanno perdendo un po’ di entusiasmo nei confronti dei social media, forse eccessivamente affollati, chiassosi e litigiosi. Secondo Edison Research e Triton Digital, l’utilizzo dei social media da parte degli americani tra i 12 e i 34 anni si è stabilizzato o sta diminuendo. Secondo Global Web Index, la quantità di tempo che Millennials e Gen Z spendono sulle piattaforme social è piatta, in declino o non aumenta così tanto come negli anni passati. L’alternativa?  La nuova tendenza si chiama “digital gardens”, ovvero spazi chiusi dove gli utenti si riuniscono in piccoli gruppi accomunati da interessi condivisi. Un’opportunità anche per i brand, che potranno proporrsi come padroni di casa di questi piacevoli luoghi digitali.

Addio al contante e sì a prodotti basati sullo studio del DNA

Complici anche i mesi in lockdown, che hanno fatto diffondere i pagamenti digitali, la strada è segnata: il cashless sarà sempre più diffuso anche offline, nel segno della sicurezza e della comodità. Infine, grazie ad un costo che diminuisce a velocità esponenziale, i test del DNA stanno diventando sempre più accessibili e fruibili. La tendenza? Offrire prodotti veramente su misura per ogni cliente, dalla crema per la pelle allo shampoo, grazie a dei kit che permettono all’utente di verificare le proprie caratteristiche genetiche.

Sarà sempre la tecnologia, in tutti gli ambiti, a guidare i trend per le innovazioni del 2021. Per scoprire in anteprima quali saranno le tendenze clou del nuovo anno, TechVocacy – piattaforma aggiornata con oltre 500 fonti e che raccoglie migliaia di contenuti internazionali –  ha individuato i cinque trend che avranno un forte impatto nel prossimi 12 mesi. “Nel corso di tutto l’anno analizziamo articoli, dati, ricerche, report e qualunque tipo di informazione presente online e, per ogni settore monitorato, individuiamo alcuni temi ricorrenti sui quali si concentra l’interesse di aziende e startup, oltre che dei consumatori. I risultati delle nostre ricerche si basano sulla convergenza di tre macro forze ovvero la tecnologia che nasce e viene diffusa sul mercato, il consumatore con i suoi bisogni e desideri e, infine, i business model e la loro evoluzione che determinano gli indirizzi degli investimenti. Questi tre elementi a nostro avviso sono quelli che danno vita ai cambiamenti dell’innovazione” ha spiegato all’Ansa Riccardo Secco Founder di TechVocacy.

Dal benessere mentale alla “plant based” revolution

L’indagine evidenzia, anche se ce ne siamo accorti tutti, che questo 2020 ha messo a dura prova il nostro benessere mentale. La riprova? Solo lo scorso settembre ci sono state 1,8 milioni di ricerche su Google per il termine “ansia”, con un aumento del 20% rispetto al 2019. Da questo evidente bisogno scaturiscono prodotti e soluzioni tecnologici dedicati, come le app B2C, supporti per dormire bene, applicazioni per meditare e liberare il cervello, piattaforme di supporto psicologico e programmi di corporate wellness. Un’altra tendenza che riguarda a 360 gradi i nostri consumi è quella che privilegia i prodotti privi di derivati animali, sia per motivi di salute sia per una sempre maggiore attenzione all’ambiente e alla natura. Ecco che anche le grandi catene del fast food hanno iniziato a proporre hamburger a base vegetale, altri celebri brand stanno studiano alternative al latte e allo yogurt, e pure il settore della moda sta scoprendo nuovi filati totalmente sostenibili e “verdi”.

I social? Non sono più un posto per giovani

A sorpresa, si scopre che i più giovani stanno perdendo un po’ di entusiasmo nei confronti dei social media, forse eccessivamente affollati, chiassosi e litigiosi. Secondo Edison Research e Triton Digital, l’utilizzo dei social media da parte degli americani tra i 12 e i 34 anni si è stabilizzato o sta diminuendo. Secondo Global Web Index, la quantità di tempo che Millennials e Gen Z spendono sulle piattaforme social è piatta, in declino o non aumenta così tanto come negli anni passati. L’alternativa?  La nuova tendenza si chiama “digital gardens”, ovvero spazi chiusi dove gli utenti si riuniscono in piccoli gruppi accomunati da interessi condivisi. Un’opportunità anche per i brand, che potranno proporrsi come padroni di casa di questi piacevoli luoghi digitali.

Addio al contante e sì a prodotti basati sullo studio del DNA

Complici anche i mesi in lockdown, che hanno fatto diffondere i pagamenti digitali, la strada è segnata: il cashless sarà sempre più diffuso anche offline, nel segno della sicurezza e della comodità. Infine, grazie ad un costo che diminuisce a velocità esponenziale, i test del DNA stanno diventando sempre più accessibili e fruibili. La tendenza? Offrire prodotti veramente su misura per ogni cliente, dalla crema per la pelle allo shampoo, grazie a dei kit che permettono all’utente di verificare le proprie caratteristiche genetiche.

Società quotate e coronavirus, -20 miliardi di utili

Le società quotate italiane dell’industria e dei servizi hanno perso 64 miliardi di ricavi e 20 miliardi di utili a causa della crisi scatenata dal Covid-19. Solo energia/utilities e servizi hanno chiuso in utile, mentre segnano una perdita manifattura e petrolifero. Lo attesta l’analisi dell’Ufficio studi Mediobanca sull’impatto del Covid sull’andamento dei primi 9 mesi del 2020 per 26 società del Ftse Mib, escludendo i settori finanza e assicurazioni, e per le multinazionali mondiali.  A fine settembre le società italiane avevano bruciato 46 miliardi di capitalizzazione sui 354 iniziali, anche se con il recente rally il calo è stato in gran parte colmato, e ora ammonta a 11 miliardi.

Calo di utili e fatturato

Il fatturato delle 26 quotate è sceso in media del 21%, e secondo le previsioni di Mediobanca l’intero 2020 si chiuderà con un -18%. Un dato superiore al -11% delle medie imprese, perché nel campione delle 26 quotate settori in difficoltà, come l’auto, hanno un peso maggiore. Nei 9 mesi i risultati vedono il -14% dei ricavi nei servizi, il -16,4% nell’energia, il -18,7% nella manifattura, e il -39,7% nel petrolifero. Nel terzo trimestre la manifattura è stata la più veloce a riprendere, con un +56,1% sul secondo trimestre contro il +39,1% dell’intero Ftse Mib, riporta Agi.

Persi 18 miliardi di margini industriali

Quanto ai margini, nei 9 mesi le 26 società analizzate hanno perso 18 miliardi di margini industriali, risultati dimezzati (-53,3%). Qualche segnale di speranza viene dall’Ebit margin, che misura i margini in percentuale sui ricavi. Qui il dato complessivo è positivo, ed è pari al 6,8%, pur in calo del 4,5% sullo stesso periodo 2019.

La struttura finanziaria evidenzia un ulteriore deterioramento per tutti i settori, risultato dell’aumento dell’indebitamento (+12,1%) e della contrazione dei mezzi propri (-9,1%). Il rapporto debiti finanziari/capitale netto tocca ora quota 146,5%, rispetto al 118,7% di fine 2019. A ricorrere maggiormente alla leva finanziaria è il settore dei servizi, con un rapporto del 231,7%, mentre il petrolifero contiene il dato all’89,5%.

L’andamento delle multinazionali mondiali

I big del web, della Grande distribuzione e dell’elettronica vincono la sfida del Covid, e nel 2020 riescono a incrementare ricavi e utili, mentre le multinazionali di auto, moda e media accusano pesantemente le conseguenze della pandemia. La media della variazione del fatturato delle multinazionali mostra un calo del 4,3%, ma le compagnie Websoft evidenziano un +18,4%, trainato da food delivery, videogiochi ed e-commerce. La Gdo registra un +8,8%, l’elettronico +5,7%, l’alimentare +3,7%. In difficoltà invece media e intrattenimento (-9,4%), automotive (-17,4%), moda (-21,3%), aeronautico (-30,6%), petrolifero (-32,3%).  In sofferenza anche i margini industriali (-22,8% l’aggregato), con l’eccezione di Gdo (+25,7%), Websoft (+14,2%), elettronica (+14,1%), mentre la moda accusa un taglio del 98,8%, il petrolifero del 66,6% e l’automotive del 65,8%.