Come essere un buon capo, anche in ufficio

Quando si è stressati perdere la pazienza può capitare a tutti. Anche a chi comanda. Ma se ciò accade in ufficio, il rischio è di passare facilmente per un despota. Come instaurare quindi un clima di fiducia e rispetto reciproco fra capo e collaboratori, anche nei momenti critici? Alistair Cox, il numero uno della società di selezione Hays, ha individuato le quattro regole d’oro da seguire per diventare un buon capo ufficio, e riuscire a gestire al meglio il proprio team. Una su tutte, imparare a coinvolgere il più possibile lo staff nel processo creativo. “È importante trovare una via di mezzo tra fornire tutte le indicazioni – spiega Cox – e fare in modo che i collaboratori si ingegnino per portare avanti i compiti assegnati”. In questo modo, diventa più facile raggiungere gli obiettivi.

La sottile differenza tra delegare e incaricare

Regola numero 1: quando si impartiscono ordini chi è al comando deve trovare un giusto equilibrio tra il semplice delegare e l’incaricare i propri collaboratori. Ma soprattutto, deve saper comunicare quanto sia fondamentale il loro apporto per la buona riuscita di un progetto. Al contrario, spesso i manager si limitano a dettare un compito, rischiando così di demotivare le proprie risorse. Non meno importante (regola numero 2) è ascoltare prima di giudicare. All’insorgere delle criticità i veri leader non devono semplicemente “condannare” chi ha commesso un errore, ma mostrare la capacità di ascoltare e dare l’esempio.

Organizzare meeting frequenti

Regola numero 3: organizzare di frequente meeting e sessioni di coaching. Spesso chi è a capo di un team è oberato da scadenze e nuovi progetti. Questo, però, non deve far passare in secondo piano i momenti di scambio e confronto tra il capo e lo staff. “Le review non dovrebbero essere trattate semplicemente come un’opportunità una tantum per evidenziare errori e debolezze”, commenta Cox. Darsi appuntamento una volta all’anno non basta, i membri di un team devono ricevere sempre l’attenzione che meritano.

“La comunicazione è la chiave per entrare in sintonia con lo staff”

Interessarsi attivamente alla vita dei propri collaboratori è la regola numero 4. È importante infatti che un capo riconosca l’individualità delle persone che compongono il suo team. E per fare ciò, riporta Adnkronos, è bene andare oltre il rapporto superficiale che si instaura in molti ambienti lavorativi, senza rinunciare a mantenere un rapporto professionale. “La comunicazione – sottolinea Cox – è la chiave che ci permette di entrare in sintonia con lo staff. Discutendo di diversi argomenti, anche non lavorativi, i canali di comunicazione tra manager e dipendenti vengono automaticamente ampliati, con un maggiore senso di sicurezza per entrambi”.

L’importanza di mantenere una corretta idratazione anche al lavoro

Grazie al moderno dispenser d’acqua per l’ufficio dell’azienda IWM è possibile risolvere l’annoso problema del permettere ai propri dipendenti o clienti di poter bere tranquillamente l’acqua che si desidera. Mantenere una adeguata idratazione nel corso della giornata inoltre, consente di mantenere un elevato livello di concentrazione, il che è ideale per mantenere sempre ottimale il livello della produttività. Per questo motivo sono tante le aziende e gli uffici che hanno già deciso di utilizzare questi impianti di ultima generazione all’interno dei locali, e consentire soprattutto ai dipendenti di poter bere liberamente ogni qualvolta ne avvertono la necessità, con la certezza di bere un’acqua veramente salutare e  bilanciata. Grazie ai dispenser IWM i dipendenti potranno bere dell’acqua fredda ma anche calda a piacimento; inoltre basta un semplice gesto della mano per avere dell’ottima acqua gassata o addirittura i cubetti di ghiaccio per chi lo preferisce.

Il vantaggio per le aziende o uffici che adottano questi impianti di nuova generazione, è anche quello di riuscire a risparmiare sui costi di approvvigionamento idrico, dato che questi prelevano direttamente l’acqua del rubinetto e la depurano migliorandone il sapore. Non sarà più necessario dunque acquistare costose bottiglie o l’acqua degli ingombranti boccioni, ma tutta la comodità e la convenienza di un’acqua buona da bere e dal prezzo decisamente contenuto. Vi è una ottima scelta in fatto di modelli e colori, così che sia possibile individuare esattamente l’impianto maggiormente in grado di adattarsi al design del contesto in cui verrà inserito, e l’azienda o ufficio in questione non avranno pensieri nemmeno per quel che riguarda la manutenzione. Saranno direttamente i tecnici IWM infatti, ad apportare gli interventi periodici necessari nel corso dell’anno per garantire sempre il perfetto funzionamento dell’impianto, così che questo possa consentire a tutti di bere sempre dell’ottima acqua con la semplice pressione di un pulsante.

Google Pay trasforma il cellulare in un portafoglio

Gestire i pagamenti direttamente dal proprio account Google sullo smartphone. Arriva anche in Italia Google Pay, il nuovo servizio che consente di effettuare pagamenti “con” il cellulare, sia su app e siti web, sia in tutti i negozi che supportano i pagamenti contactless, e su tutte le property Google, inclusi Google Play e YouTube. Ovviamente in tutta sicurezza, e in pochi secondi. Google Pay è compatibile con dispositivi dotati di sistema operativo Android (Android 5+) e con smartwatch Wear OS, dotati di tecnologia NFC. In pratica lo smartphone, così come lo  smartwatch Wear OS, diventa un vero e proprio portafoglio.

Il servizio è attivabile direttamente anche tramite mobile banking della propria banca

La sicurezza per Google è un elemento centrale del nuovo servizio. Per poterlo utilizzare è sufficiente scaricare l’app Google Pay e aggiungere una carta di credito, di debito o prepagata, dei circuiti Maestro, MasterCard e Visa, emessa da una qualsiasi delle banche supportate. Per ora, tra gli istituti di credito che hanno aderito vi sono Banca Mediolanum, Boon, HYPE, Nexi, N26, Revolut, Widiba, Ma nei prossimi mesi a questi si aggiungeranno anche Iccrea Banca e Poste Italiane. Gli utenti, spiega Google, possono però attivare il servizio anche direttamente nell’app di mobile banking della propria banca.

Come funziona?

Grazie alla tecnologia Near Field Communication (NFC) al momento di pagare basterà attivare lo schermo del telefono, e appoggiarlo al terminale per effettuare il pagamento contactless. I negozi che offrono questo tipo di pagamento hanno in mostra il simbolo NFC/contactless, o il logo Google Pay, nell’area delle casse. È possibile pagare con Google Pay ovunque siano accettati i pagamenti contactless, tra cui Autogrill, Bennet, Esselunga, H&M, Leroy Merlin, Lidl, McDonald’s, Profumerie Douglas e la rete Metropolitana ATM di Milano, riferisce Adnkronos.

Registrare carte d’imbarco, biglietti del cinema e anche carte fedeltà dei supermercati

Non è tutto, perché con Google Pay si possono registrare carte d’imbarco, biglietti del cinema e anche carte fedeltà dei supermercati (Esselunga, Coop ecc.). Alcune, fra queste, sono facilmente registrabili semplicemente scansionando la carta, mentre altre è necessario inserire manualmente il codice. Ed è possibile ottenere anche alcuni sconti, promozioni e premi.

L’app Google Pay è già disponibile sul Play Store e a breve arriverà anche sull’App Store, ed è già possibile utilizzarla. In futuro Google probabilmente amplierà il pacchetto di negozi e siti di e-commerce in cui poter pagare con l’app, aumentando il numero di carte compatibili rendendo il servizio accessibile a un maggior numero di utenti.

Italiani e immigrazione: preoccupati o accoglienti?

Qual è l’atteggiamento degli italiani nei confronti dell’immigrazione? Secondo un’indagine Doxa sembra che il 58% dei nostri connazionali sia molto preoccupato, anche se a dicembre 2017 tale soglia si attestava al 78%. Le più preoccupate sono le donne (65%), mentre non si rilevano differenze sostanziali in base all’età o rispetto all’area geografica di residenza.

Unica eccezione, le città con oltre 100 mila abitanti, dove i “preoccupati” sono il 63% (+5% sulla media nazionale).Il grado di preoccupazione decresce poi con l’innalzarsi del titolo di studio. Solo un laureato su 2 infatti è preoccupato, mentre tra i possessori di licenza di scuola media inferiore tale soglia arriva al 60%.

Ordine pubblico e sicurezza gli aspetti che più incidono sul livello di preoccupazione

Per un italiano su 2 gli immigrati però rappresentano una risorsa per il Paese, con uno scostamento di 8 punti rispetto ai risultati di pochi mesi fa (44% dicembre 2017, 52% a luglio 2018).

In ogni caso, ordine pubblico e sicurezza sono gli aspetti che più incidono sul livello di preoccupazione degli italiani. Lo afferma il 48% degli intervistati, con picchi del 54% tra gli over 54 e del 55% tra gli abitanti del Nord-Est. Ma è proprio dalle regioni del Nord-Est che arriva anche l’appello più sentito perché si distingua tra profughi o immigrati regolari, e clandestini. Lo chiede l’83% degli intervistati di Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto- Adige e Veneto contro una media nazionale del 77%.

Per il 75% degli intervistati chi scappa da guerre e terrorismo va accolto

Per quel che concerne le classi d’età i più orientati al distinguo sono i 35-54enni (82%). Ed è proprio in questa fascia di età che è meno diffusa l’idea che gli immigrati rappresentino una minaccia per l’occupazione ( 24% degli intervistati). Mentre tra gli over 54 tale incidenza arriva al 35%. Anche in questo caso il livello d’istruzione gioca un ruolo chiave: lo pensa l’11% dei laureati contro il 39% di coloro che non sono andati oltre la terza media.  I dati Doxa mostrano inoltre che per il 75% degli intervistati chi scappa da guerre e terrorismo “va accolto”.

Il Centro Italia è l’area più accogliente d’Italia (83%).

Campioni di solidarietà sono i 15-34enni, con l’85% di risposte affermative. A livello geografico sono gli abitanti del Centro Italia i più propensi all’accoglienza, con una percentuale di consenso pari all’83%.

È curioso notare come alla domanda su un eventuale richiesta da parte delle istituzioni di ospitare i migranti nel proprio quartiere il livello di preoccupazione su base nazionale scenda al 33%.  Anche in questo caso molto più ”aperti a ospitarli” risultano i laureati (solo 19% di tasso di preoccupazione), ma anche i giovani (29% i preoccupati under 35) e i residenti nelle grandi città, con il 31% di “preoccupati” nei centri con oltre 100 mila abitanti.

 

Piccoli rifiuti elettronici: dove li butto? Sette italiani su dieci non lo sanno

Evitare uno spreco di risorse riutilizzabili per costruire nuove apparecchiature è ormai una pratica di sostenibilità ambientale di dominio pubblico, anche nel nostro Pese. Però restano sul tavolo alcune questioni aperte, in particolare riferite allo smistamenti di apparecchiature elettriche. Quasi tutti ci siamo chiesti almeno una volta: “I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche guaste ed obsolete dove vanno gettati”?. Questi prodotti però, detti anche RAEE, vanno trattati correttamente e destinati al recupero differenziato dei materiali di cui sono composti, come rame, ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, piombo e mercurio.

Cosa prevede il Decreto 121 Uno contro zero

Da due anni il Decreto 121 “Uno contro zero” garantisce la possibilità di consegnare senza oneri piccoli rifiuti elettrici ed elettronici presso i grandi negozi di settore (con superficie superiore a 400 metri quadrati) e senza alcun obbligo d’acquisto. Però sette italiani su dieci non lo sanno. Come riporta Askanews, il dato è emerso da un’indagine commissionata da Ecodom, principale Consorzio italiano nella gestione dei Raee, che tra aprile e maggio 2018 ha coinvolto 10.000 cittadini. Lo studio si è sviluppato in tre fasi: quella esplorativa per testare il livello di conoscenza del Decreto, la seconda per invitare a sperimentare il servizio e la terza per valutare l’esperienza di chi ha provato il servizio (in passato o in occasione di questa indagine).

Ecco come funziona lo smaltimento

Maurizio Bernardi, presidente del più importante Consorzio Italiano di gestione dei RAEE, spiega come funziona lo smaltimento: “Il Decreto ‘Uno contro zero’ offre a tutti i consumatori una modalità semplice e gratuita per smaltire i piccoli rifiuti in maniera corretta e sostenibile, evitando ogni danno ambientale. È però necessaria la collaborazione di tutti coloro che entrano in relazione con i consumatori, dai negozianti alle associazioni fino ai media, per farlo conoscere il più possibile”.

I più informati sullo smaltimento abitano al Nord

A livello geografico, i siciliani e i sardi sono i meno informati sull’argomento: solo il 23,9% di loro conosce il cosiddetto “Ritiro 1 contro 0”. Gli abitanti dell’Umbria conoscono il tema meglio degli altri (44,4%), ma l’area in cui il servizio è stato sperimentato di più è il Nord Est, dove il 36,2% degli utenti ha riconsegnato gratuitamente un vecchio apparecchio elettrico o elettronico a un rivenditore. Nel Sud (34,7%) e nelle Isole (36,9%) sono stati segnalati più problemi nel Ritiro 1 contro 0.

Calzature Bruno Bordese: comfort, estetica e appeal

Le calzature Bruno Bordese sono ideali per te che ami vestire con cura e desideri affidare i tuoi piedi ad una scarpa che possa garantirgli tutto il comfort necessario ed il benessere che desideri, anche quando le indossi per un periodo prolungato di tempo. Questo brand intraprendente si prende cura di te sia quando desideri una scarpa per le occasioni più importanti che per gli appuntamenti quotidiani quali il lavoro o il tempo libero, apportando tutto il suo contributo in termini di ricercatezza e stile. La grande attenzione per i dettagli e la cura per i materiali impiegati è il marchio di fabbrica che contraddistingue ogni prodotto Bruno Bordese, il che traspare in maniera evidente semplicemente osservando un qualsiasi tra le tante calzature proposte, e la scelta è davvero ampia se si pensa alle tantissime calzature (per lui e per lei) pensate appositamente per ogni momento della giornata.

Chi sceglie questo importante brand infatti, ama la moda ma al tempo stesso “fare” moda: grazie alla genialità che è propria di ogni creazione Bruno Bordese infatti, queste ottime calzature sono in grado di creare nuove tendenze e completare il proprio outfit apportando, in base ai gusti e alle abitudini di ciascuno, quel tocco in più in termini di perfezione e design di cui ognuno di noi è alla ricerca. Bruno Bordese è dunque un brand che non lascia nulla al caso, e che conosce bene le esigenze ed i desideri di chi ama essere sempre in linea con le mode del momento, mostrando agli altri tutta l’attenzione che si adopera nello scegliere cosa indossare. Se cerchi dunque una calzatura che possa completare il tuo abbigliamento in maniera originale ed in linea con le ultime tendenze, Bruno Bordese è ciò di cui hai bisogno per coniugare comfort, estetica e appeal.

Cryptojacking, nuova minaccia per il mercato criptovalute

Alla fine dello scorso anno il Bitcoin ha raggiunto valori stratosferici, fino a 18mila dollari. Una corsa all’oro in cui tanti si sono buttati, cercando di trarre profitto dalla situazione. Come effetto collaterale si è sviluppato il cryptojacking, un nuovo tipo di minaccia virtuale con cui un pc, un dispositivo mobile o un server, vengono utilizzati per “minare” criptovalute per conto di qualcun altro.

Cryptojacking nasce dall’unione di due parole, cryptocurrency e Hijacking. Questo tipo di malware non trattiene i dati in ostaggio come accade col ransomware, ma il suo scopo è rubare potenza di calcolo. Ciò avviene perché minare criptovalute richiede calcoli estremamente complessi per generare gli hash necessari per guadagnare il premio virtuale.

Il costo dell’operazione ricade sulla vittima

Il mining delle criptovalute, spiegano gli esperti di Paessler, azienda IT specializzata nel monitoraggio di rete, deve bilanciare profittabilità e costi. Quando un cyber criminale usa un malware per il cryptojacking tutto il costo per alimentare la Cpu viene spostato sul dispositivo della vittima, riferisce Cyber Affairs.

Il malware di cryptojacking può interessare qualsiasi dispositivo capace di eseguire i calcoli matematici necessari per minare le criptovalute. Poiché un singolo dispositivo difficilmente è in grado di minare grandi quantità di criptovalute, i criminali cercano di “schiavizzare” quanti più dispositivi possibile per massimizzare i profitti. Per questo motivo, è opportuno sapere come vengono usate le risorse di calcolo.

Come difendersi dal cryptojacking

Per difendersi al meglio, Paessler consiglia un attento monitoraggio di siti e infrastrutture di reti aziendali, attraverso specifici software combinati a una serie di sensori Cpu per fornitori e applicazioni. In questo modo si ottengono dati preziosi che mettono in allarme prima che la bolletta elettrica si gonfi a dismisura, o che le risorse cloud siano esaurite.

Oltre a monitorare l’infrastruttura, è poi consigliabile impedire il cryptojacking a livello della rete bloccando indirizzi IP e domini notoriamente collegati ad attività illecite di cryptomining: una lista frequentemente aggiornata di questi domini è disponibile tramite CoinBlockerLists.

L’estensione minerBlock sul browser garantisce la massima protezione

La protezione degli endpoint è un altro elemento chiave per impedire che il cryptojacking abbia luogo tramite un browser web. Per quanto molti degli antivirus aziendali oggi siano in grado di bloccare la maggior parte del malware di cryptojacking, è importante usare l’estensione minerBlock sul browser per garantire la massima protezione. Il cryptojacking, conclude l’analisi, è un fenomeno destinato a non sparire in breve tempo. Ma con una protezione e un monitoraggio adeguati il rischio sarà sicuramente ridotto

L’e-commerce entra nelle Poste: 30mila portalettere per consegne anche nel weekend

L’-commerce arriva in posta, e per Poste Italiane cambia tutto: pacchi consegnati tutti i giorni, compresi i weekend, e fino a sera, con ritiro anche nei supermercati, i centri commerciali, o al negozio sotto casa. E per vincere questa sfida Poste Italiane sta schierando un esercito dei 30mila portalettere.

Il progetto di Poste è partito in sordina da meno di un mese, e ora emergono i dettagli di questo piano rivoluzionario, messo a punto per rispondere alle diverse esigenze sul territorio e delle città.

Una rivoluzione che cambia completamente il lavoro dei portalettere

Poste ha avviato il nuovo progetto dal 16 aprile, e lo sta diffondendo sul territorio gradualmente. Il progetto andrà avanti per tutto quest’anno e nel corso del 2019.

Si tratta di un cambiamento storico che cambia completamente il lavoro della rete capillare di portalettere, legata al declino della corrispondenza tradizionale. Inoltre entro l’anno saranno 350 i nuovi “locker”, gli armadietti fai da te dove prelevare il pacco, e aumenterà la rete di punti fisici di ritiro, come negozi di quartiere, supermercati e ipermercati che faranno da punto di appoggio.

Razionalizzare le aree territoriali e differenziare il servizio sul territorio

Il progetto affida ai portalettere il recapito di pacchi fino a 5 chili, con ultima consegna prevista alle 19:45. Poste sottolinea di puntare su “efficienza, flessibilità, più qualità del servizio” con una “riduzione dei costi”. Come? attraverso una razionalizzazione delle aree territoriali, ridotte da 9 a 6, e differenziando il servizio sul territorio in base alla diversa “densità di oggetti da recapitare”: sette giorni su sette nelle grandi aree metropolitane, e per la sola rete business (prevalentemente i pacchi dell’e-commerce) anche nelle aree urbane. Nelle aree rurali le consegne restano a giorni alterni

Obiettivo, 50 milioni di pacchi consegnati nel 2018

Il progetto è parte del piano a 5 anni Deliver 2022 varato a fine febbraio, e l’obiettivo è quello di puntare a 50 milioni di pacchi consegnati nel 2018, per crescere a quota 100 milioni nel 2022, riferisce Ansa.

La rivoluzione dei pacchi è già operativa in 71 dei 900 centri di recapito di Poste, e a oggi tocca 500 comuni e 10 regioni. Genova è avanti, con 3 centri su 4 già al lavoro con il nuovo modello, mentre uno è già attivo a Milano, Roma e Torino.

E per affiancare alle lettere anche la consegna dei pacchi quest’estate debutteranno nuovi tricicli, con più spazio di carico e più sicurezza rispetto agli scooter.

Minacce informatiche: raddoppiano gli attacchi ransomware

Tra le minacce informatiche sono i ransomware i più temuti dalle organizzazioni di tutto il mondo. Crittografando server o database, i ransomware vengono sferrati contro gli asset più critici delle aziende, causando quindi danni maggiori e condannando le vittime a riscatti più elevati. E, secondo il Data Breach Investigations Report 2018 di Verizon, nel 2017 questo tipo di attacchi è raddoppiato rispetto all’anno precedente, ed è responsabile del 39% delle violazioni telematiche.

“I cybercriminali hanno il potenziale per attaccare qualsiasi tipo di azienda o istituzione”

Il report ha analizzato più di 53mila attacchi e 2.216 violazioni in 65 Paesi. “I cybercriminali hanno il potenziale per attaccare qualsiasi tipo di azienda o istituzione, multinazionali o Pmi che siano, di qualunque settore”, commenta all’Adnkronos Laurance Dine, Managing Principal Investigative Response Verizon Risk Team. E se la criminalità organizzata è ancora responsabile del 50% degli attacchi analizzati, e nel 72% dei casi gli hacker sono esterni alle organizzazioni, nel 27% dei casi si tratta di soggetti interni all’azienda.

Nel 96% dei casi l’anello debole sono le email

Se il pretexting e il phishing per l’estorsione di denaro rappresentano il 98% degli attacchi e il 93% delle violazioni, l’anello debole continuano a essere le email (96% dei casi).

Nel report viene inoltre evidenziato come l’obiettivo del pretexting a scopo pecuniario siano le risorse umane. Il fenomeno è quintuplicato rispetto a quanto rilevato dal Dbir 2017: quest’anno sono stati infatti analizzati 170 attacchi (rispetto ai 61 dell’edizione 2017), e di questi 88 hanno mirato specificamente a dipendenti del settore HR, al fine di sottrarre dati personali con i quali completare moduli per false richieste di rimborso tasse.

Nel report si fa poi riferimento a un altro tipo di attacco oramai divenuto consueto, quello DDoS. Oltre a essere in aumento, spesso si tratta di un trucco messo in atto, sospeso e poi rimesso in funzione, per mascherare altre violazioni che agiscono sullo sfondo.

Nella sanità le minacce interne sono maggiori di quelle esterne

Verizon ha anche analizzato la tipologia di attacco per settore. In quello dell’istruzione  a farla da padrone sono gli attacchi basati sul social engineering, violazioni molto frequenti che mirano all’estorsione di dati personali per furti d’identità, mentre nel settore finanziario e assicurativo sono i sistemi per la clonazione di carte di credito a rappresentare ancora un ottimo affare.

Il settore della sanità, rileva poi Verizon, è l’unico in cui le minacce interne sono maggiori di quelle esterne. E nel settore pubblico è lo cyberspionaggio a rappresentare la preoccupazione più grave, dato che il 43% delle violazioni ha questa finalità.

I lavoratori autonomi pagano l’Irpef più di dipendenti e pensionati

Non è proprio una novità assoluta: sono i lavoratori autonomi a versare all’erario una quota più alta di Irpef rispetto a lavoratori dipendenti e pensionati. La conferma arriva da una elaborazione dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, focalizzata sull’imposta versata dai contribuenti italiani allo Stato. Come risulta dalle dichiarazioni dei redditi del 2016, l’Irpef ammonta a oltre 155 miliardi all’anno, per un’incidenza sul totale delle entrate tributarie pari al 33%.

I liberi professionisti mediamente versano più di 4.700 euro

Sebbene le partite Iva costituiscono solo l’11,4% del totale delle persone fisiche presenti in Italia (pari a poco più di 4.660.000 unità), ciascuno di essi (artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, liberi professionisti, etc.), versa mediamente poco più di 4.700 euro di Irpef all’anno, rispetto ai 4.000 euro che mediamente vengono prelevati dalla busta paga di un lavoratore dipendente, e a poco più di 2.900 euro incassati dal fisco da ogni pensionato.

“Abbiamo ritenuto necessario puntualizzare questa questione – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – per sconfessare una tesi sempre più diffusa secondo la quale le tasse in questo Paese vengono pagate principalmente da coloro che subiscono il prelievo alla fonte”.

I lavoratori autonomi costituiscono l’11,4% % del totale dei contribuenti Irpef

Ritornando ai numeri, riporta Adnkronos, in Italia i lavoratori dipendenti e i pensionati ammontano a oltre 35.650.000, l’87,5% del totale dei contribuenti Irpef e subiscono un prelievo complessivo di 127 miliardi di euro all’anno (pari all’81,9%o del gettito totale Irpef). Gli autonomi, invece, sono poco più di 4.660.000 lavoratori, pari all’11,4% del totale dei contribuenti Irpef. E al fisco versano quasi 22,5 miliardi di euro (pari al 14,5% del totale).

Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna le regioni che versano di più

Sul fronte del gettito Irpef per regioni il territorio che ne versa di più è la Lombardia, con 35,1 miliardi di euro (pari a una Irpef media di 6.085 euro). Seguono il Lazio con 17,7 miliardi (Irpef media di 6.058 euro) e l’Emilia Romagna con 14,1 miliardi (Irpef media di 5.245 euro) . “Con un fisco così eccessivo – conclude il Segretario della Cgia Renato Mason – serve un’alleanza tra autonomi e lavoratori dipendenti. Questa situazione penalizza entrambi e di conseguenza l’economia del paese. Con meno tasse, infatti, potenzialmente le famiglie dei lavoratori dipendenti potrebbero avere più risorse per far decollare definitivamente i consumi interni e conseguentemente anche il fatturato di artigiani e piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente di domanda interna”.