L’impatto del Covid-19 sulle esecuzioni immobiliari

Fino all’arrivo del Covid-19 in Italia la performance delle esecuzioni immobiliari risultava in miglioramento, con una durata media delle procedure passata da 5 a 4,7 anni. L’emergenza sanitaria e il lavoro da remoto hanno contribuito ad accelerare la digitalizzazione dei processi in 5 dei principali tribunali italiani su 10; di contro, la pandemia ha avuto un impatto diretto su aste (-85%) e fallimenti (-33,3%), e il blocco delle procedure giudiziali ha rallentato il recupero di efficienza. È quanto emerge dall’Osservatorio NPE, realizzato da CRIBIS Credit Management, che ha l’obiettivo di fornire una visione complessiva e aggiornata del mercato italiano dei crediti deteriorati.

Durata media complessiva in lieve riduzione

Relativamente alle esecuzioni immobiliari, nel periodo 2015-2019 è stata registrata una variazione complessivamente negativa a livello nazionale, con la chiusura di circa 384.000 esecuzioni immobiliari a fronte di 305.000 procedure aperte. La modalità di chiusura delle procedure mostra che il 79% delle procedure monitorate negli ultimi 5 anni ha seguito un normale decorso, mentre il 9% è stato chiuso per inefficacia e il 6% per via stragiudiziale. La durata media complessiva risulta in lieve riduzione, passando da 5 anni nel triennio 2015-2017 ai 4,76 anni dell’ultima rilevazione, per effetto principalmente di un miglioramento delle performance nelle regioni del Sud Italia.

Un brusco calo nel 2020

Le procedure concorsuali aperte (69.000) negli ultimi 5 anni bilanciano quelle chiuse (72.000). Il trend, lievemente decrescente fino al 2019, ha subito un brusco calo nel 2020 indotto dall’emergenza Coronavirus. L’area geografica dove le procedure hanno una durata più contenuta (circa 5 anni) sono Nord Ovest e Nord Est, sostanzialmente allineati nel biennio 2018-2020. Seguono il Centro (6 anni), in netto miglioramento nel 2018-2020, e il Sud (6,6 anni) con una tendenza sostanzialmente stabile. Considerando la natura giuridica, la durata media più breve è associata alle società a responsabilità limitata (6 anni, e 4 per le Srl a socio unico), mentre le società per azioni sono caratterizzate da procedure più lunghe (11,6 anni).

Calano aste e fallimenti

In generale, si registra un incremento della durata media delle procedure all’aumentare delle dimensioni della società, in particolare per quelle con un attivo superiore a 10 milioni di euro. L’Osservatorio evidenzia poi un netto calo delle aste pubblicate nella fase del primo lockdown nazionale, in media pari all’85% tra marzo e maggio 2020, rispetto ai valori di fine febbraio. A questo è seguito un rimbalzo tra luglio e settembre, a causa dell’allentamento delle misure restrittive durante i mesi estivi. Analogamente, a partire da marzo, anche il numero dei fallimenti ha registrato una netta contrazione (-33,3%) rispetto agli stessi mesi degli anni precedenti.

I trend dell’innovazione del 2021? Dalla dieta “plant based” al benessere mentale fino al cashless

Sarà sempre la tecnologia, in tutti gli ambiti, a guidare i trend per le innovazioni del 2021. Per scoprire in anteprima quali saranno le tendenze clou del nuovo anno, TechVocacy – piattaforma aggiornata con oltre 500 fonti e che raccoglie migliaia di contenuti internazionali –  ha individuato i cinque trend che avranno un forte impatto nel prossimi 12 mesi. “Nel corso di tutto l’anno analizziamo articoli, dati, ricerche, report e qualunque tipo di informazione presente online e, per ogni settore monitorato, individuiamo alcuni temi ricorrenti sui quali si concentra l’interesse di aziende e startup, oltre che dei consumatori. I risultati delle nostre ricerche si basano sulla convergenza di tre macro forze ovvero la tecnologia che nasce e viene diffusa sul mercato, il consumatore con i suoi bisogni e desideri e, infine, i business model e la loro evoluzione che determinano gli indirizzi degli investimenti. Questi tre elementi a nostro avviso sono quelli che danno vita ai cambiamenti dell’innovazione” ha spiegato all’Ansa Riccardo Secco Founder di TechVocacy.

Dal benessere mentale alla “plant based” revolution

L’indagine evidenzia, anche se ce ne siamo accorti tutti, che questo 2020 ha messo a dura prova il nostro benessere mentale. La riprova? Solo lo scorso settembre ci sono state 1,8 milioni di ricerche su Google per il termine “ansia”, con un aumento del 20% rispetto al 2019. Da questo evidente bisogno scaturiscono prodotti e soluzioni tecnologici dedicati, come le app B2C, supporti per dormire bene, applicazioni per meditare e liberare il cervello, piattaforme di supporto psicologico e programmi di corporate wellness. Un’altra tendenza che riguarda a 360 gradi i nostri consumi è quella che privilegia i prodotti privi di derivati animali, sia per motivi di salute sia per una sempre maggiore attenzione all’ambiente e alla natura. Ecco che anche le grandi catene del fast food hanno iniziato a proporre hamburger a base vegetale, altri celebri brand stanno studiano alternative al latte e allo yogurt, e pure il settore della moda sta scoprendo nuovi filati totalmente sostenibili e “verdi”.

I social? Non sono più un posto per giovani

A sorpresa, si scopre che i più giovani stanno perdendo un po’ di entusiasmo nei confronti dei social media, forse eccessivamente affollati, chiassosi e litigiosi. Secondo Edison Research e Triton Digital, l’utilizzo dei social media da parte degli americani tra i 12 e i 34 anni si è stabilizzato o sta diminuendo. Secondo Global Web Index, la quantità di tempo che Millennials e Gen Z spendono sulle piattaforme social è piatta, in declino o non aumenta così tanto come negli anni passati. L’alternativa?  La nuova tendenza si chiama “digital gardens”, ovvero spazi chiusi dove gli utenti si riuniscono in piccoli gruppi accomunati da interessi condivisi. Un’opportunità anche per i brand, che potranno proporrsi come padroni di casa di questi piacevoli luoghi digitali.

Addio al contante e sì a prodotti basati sullo studio del DNA

Complici anche i mesi in lockdown, che hanno fatto diffondere i pagamenti digitali, la strada è segnata: il cashless sarà sempre più diffuso anche offline, nel segno della sicurezza e della comodità. Infine, grazie ad un costo che diminuisce a velocità esponenziale, i test del DNA stanno diventando sempre più accessibili e fruibili. La tendenza? Offrire prodotti veramente su misura per ogni cliente, dalla crema per la pelle allo shampoo, grazie a dei kit che permettono all’utente di verificare le proprie caratteristiche genetiche.

Sarà sempre la tecnologia, in tutti gli ambiti, a guidare i trend per le innovazioni del 2021. Per scoprire in anteprima quali saranno le tendenze clou del nuovo anno, TechVocacy – piattaforma aggiornata con oltre 500 fonti e che raccoglie migliaia di contenuti internazionali –  ha individuato i cinque trend che avranno un forte impatto nel prossimi 12 mesi. “Nel corso di tutto l’anno analizziamo articoli, dati, ricerche, report e qualunque tipo di informazione presente online e, per ogni settore monitorato, individuiamo alcuni temi ricorrenti sui quali si concentra l’interesse di aziende e startup, oltre che dei consumatori. I risultati delle nostre ricerche si basano sulla convergenza di tre macro forze ovvero la tecnologia che nasce e viene diffusa sul mercato, il consumatore con i suoi bisogni e desideri e, infine, i business model e la loro evoluzione che determinano gli indirizzi degli investimenti. Questi tre elementi a nostro avviso sono quelli che danno vita ai cambiamenti dell’innovazione” ha spiegato all’Ansa Riccardo Secco Founder di TechVocacy.

Dal benessere mentale alla “plant based” revolution

L’indagine evidenzia, anche se ce ne siamo accorti tutti, che questo 2020 ha messo a dura prova il nostro benessere mentale. La riprova? Solo lo scorso settembre ci sono state 1,8 milioni di ricerche su Google per il termine “ansia”, con un aumento del 20% rispetto al 2019. Da questo evidente bisogno scaturiscono prodotti e soluzioni tecnologici dedicati, come le app B2C, supporti per dormire bene, applicazioni per meditare e liberare il cervello, piattaforme di supporto psicologico e programmi di corporate wellness. Un’altra tendenza che riguarda a 360 gradi i nostri consumi è quella che privilegia i prodotti privi di derivati animali, sia per motivi di salute sia per una sempre maggiore attenzione all’ambiente e alla natura. Ecco che anche le grandi catene del fast food hanno iniziato a proporre hamburger a base vegetale, altri celebri brand stanno studiano alternative al latte e allo yogurt, e pure il settore della moda sta scoprendo nuovi filati totalmente sostenibili e “verdi”.

I social? Non sono più un posto per giovani

A sorpresa, si scopre che i più giovani stanno perdendo un po’ di entusiasmo nei confronti dei social media, forse eccessivamente affollati, chiassosi e litigiosi. Secondo Edison Research e Triton Digital, l’utilizzo dei social media da parte degli americani tra i 12 e i 34 anni si è stabilizzato o sta diminuendo. Secondo Global Web Index, la quantità di tempo che Millennials e Gen Z spendono sulle piattaforme social è piatta, in declino o non aumenta così tanto come negli anni passati. L’alternativa?  La nuova tendenza si chiama “digital gardens”, ovvero spazi chiusi dove gli utenti si riuniscono in piccoli gruppi accomunati da interessi condivisi. Un’opportunità anche per i brand, che potranno proporrsi come padroni di casa di questi piacevoli luoghi digitali.

Addio al contante e sì a prodotti basati sullo studio del DNA

Complici anche i mesi in lockdown, che hanno fatto diffondere i pagamenti digitali, la strada è segnata: il cashless sarà sempre più diffuso anche offline, nel segno della sicurezza e della comodità. Infine, grazie ad un costo che diminuisce a velocità esponenziale, i test del DNA stanno diventando sempre più accessibili e fruibili. La tendenza? Offrire prodotti veramente su misura per ogni cliente, dalla crema per la pelle allo shampoo, grazie a dei kit che permettono all’utente di verificare le proprie caratteristiche genetiche.

PA più digitale con il Covid

La crisi causata dalla pandemia Covid 19 renderà la Pubblica Amministrazione più digitale, innovativa ed efficiente, anche grazie alla diffusione dello smart working. Ne sono convinti i dipendenti pubblici, ma anche i cittadini, che nel 57% dei casi evidenziano già oggi un miglioramento digitale nella PA, e nel 53% vedono nel lavoro agile un’opportunità per innovare l’amministrazione.

Anche chi lavora nella PA promuove lo smartworking, ma crede serva ancora un salto di qualità per un maggiore orientamento al risultato, e una migliore comunicazione interna.

L’amministrazione pubblica deve prepararsi a gestire le risorse del Recovery Fund

Si tratta di alcuni risultati emersi dalla ricerca dal titolo La P.A. oltre il Covid, realizzata da Fpa, società del gruppo Digital360, presentata in apertura del Forum PA 2020 Restart Italia. L’amministrazione pubblica deve quindi prepararsi a gestire innanzitutto la grande mole di risorse che arriveranno dal Recovery Fund. Ed è opinione condivisa dal 50% degli utenti e dal 60% dei dipendenti pubblici che la gestione dei fondi europei dovrà essere centralizzata con una cabina di regia, ma che servano anche nuovi profili professionali qualificati per gestire i progetti. E, riporta Askanews, che le risorse europee debbano andare prioritariamente alla salute e poi a istruzione-formazione.

Le opportunità di cambiamento

Dall’indagine emerge inoltre che se la maggioranza degli italiani evidenzia una PA più digitale come un fatto positivo, che permette di accedere ai servizi in maniera più facile e veloce, per il 21% è un fatto negativo, poiché non possiede competenze o strumenti per usare questi servizi. E se per il 6% ciò è ininfluente il 9% non vede ancora una PA più digitale. In ogni caso, secondo i dipendenti pubblici le maggiori opportunità di cambiamento digitale vengono dalla standardizzazione della modulistica per istanze, dichiarazioni e segnalazioni (94,8%), la valorizzazione e interoperabilità dei dati pubblici (90.8%), il rafforzamento degli strumenti di cittadinanza digitale (86,9%), e la semplificazione del procedimento amministrativo (84,8%).

La fiducia nello smart working

Se a giugno 2020 oltre il 60% dei rispondenti esprimeva fiducia che lo smart working avrebbe portato un cambiamento positivo nella PA, a qualche mese di distanza la fiducia resta alta. Il 55,1% dei lavoratori è infatti ottimista che questo possa avvenire, ma pensa ci vorrà più tempo. Con il lavoro a distanza però si avverte maggiormente la necessità di una condivisione costante ed efficace di obiettivi e strategie, e per la maggioranza degli intervistati la comunicazione interna non è migliorata. Ci sono comunque segnali di cambiamento per il 40,6%, ma non c’è miglioramento e appare insufficiente per il 36,1%. Secondo il 29% degli italiani invece lo smart working è un rischio per assenteismo e comportamenti opportunistici

Varata la Nadef, previsione Pil +6% nel 2021

Un rimbalzo del Prodotto Interno Lordo del 6%, un rapporto deficit/Pil al 7% e un debito/Pil al 155,6%: sono le previsioni per il 2021 contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) 2020, approvata dal Consiglio dei Ministri su proposta del presidente Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia e delle finanze Roberto Gualtieri. La Nota, “in stretta coerenza con il prossimo Piano nazionale di ripresa e resilienza”, spiega Palazzo Chigi in un comunicato definisce il perimetro di finanza pubblica nel quale si iscriveranno le misure della prossima legge di bilancio, che avrà come obiettivo quello di sostenere la ripresa dell’economia italiana nel triennio 2021-2023.

Gli obiettivi degli interventi contenuti nella Nota

Gli interventi contenuti nella Nota saranno principalmente rivolti a sostenere, nel breve termine e per tutta la durata della crisi da Covid-19, i lavoratori e i settori produttivi più colpiti, valorizzando appieno le risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU per realizzare investimenti e riforme di vasta portata e profondità.

Saranno anche rivolti ad attuare un’ampia riforma fiscale che migliori l’equità, l’efficienza e la trasparenza del sistema tributario, riducendo anche il carico fiscale sui redditi medi e bassi, coordinandola con l’introduzione di un assegno universale per i figli.

Inoltre, serviranno ad assicurare un miglioramento qualitativo della finanza pubblica, spostando risorse verso gli utilizzi più opportuni a garantire un miglioramento del benessere dei cittadini, dell’equità e della produttività dell’economia. Ulteriore obiettivo degli interventi è quello di ricondurre l’indebitamento netto della Pubblica amministrazione verso livelli compatibili con una costante e sensibile riduzione del rapporto debito/Pil.

Rispetto al 2020 il rapporto debito/Pil è previsto in calo del 2,4%

Per quanto riguarda la programmazione delle finanze pubbliche, per il 2021 la Nadef fissa un obiettivo di indebitamento netto (deficit) pari al 7% del prodotto interno lordo (Pil). Rispetto alla legislazione vigente, che prevede un rapporto deficit/Pil pari al 5,7%, si presenta quindi lo spazio di bilancio per una manovra espansiva pari a 1,3 punti percentuali di Pil (oltre 22 miliardi di euro). Rispetto al 2020, nel quadro programmatico di finanza pubblica, il rapporto debito/Pil nel 2021 è previsto in calo del 2,4%, portandosi dal 158% al 155,6%.

Riportare il debito della PA sotto il livello pre-Covid entro la fine del decennio

Per gli anni successivi, riporta Italpress, viene delineato un percorso di graduale rientro del rapporto, con l’obiettivo di riportare il debito della PA al di sotto del livello pre-Covid entro la fine del decennio.

“Grazie al sostegno alla crescita assicurato dalle misure espansive – sottolinea Palazzo Chigi – nel 2021 è attesa una crescita programmatica del Pil pari al 6% (rispetto a una crescita tendenziale del 5,1%), che nel 2022 e nel 2023 si attesterà rispettivamente al 3,8% ed al 2,5%”.

Pagamenti con carta, fino a tremila euro per il super cashback

Il primo obiettivo dichiarato nella promozione dei pagamenti digitali è quello di contrastare l’evasione fiscale, da sempre una piaga dell’Italia. Con questo e molti altri scopi il Governo premierà chi usa la carta di credito al posto del contanti, affinché i flussi finanziari siano sempre tracciabili e chiari. Per mettere in atto questa rivoluzione, il governo ha stanziato 3 miliardi di euro all’anno per il cashless. L’esecutivo punta così ad ammodernare il Paese, portandolo in linea con quando avviene negli altri Paesi europei – e non solo – dove il contante è ormai da tempo molto poco diffuso. Anche da noi, quindi, diventerà normale saldare con la carta di credito anche il più piccolo dei conti, compreso quello del bar o dell’edicola.

La novità super cashback

Tra gli incentivi previsti per favorire l’utilizzo delle carte c’è anche la novità super caschback. Di cosa si tratta? In estrema sintesi, è una quota di “rimborso” per quanto speso. I primi 100mila cittadini che useranno maggiormente la carta, spiega Askanews, faranno cioè più transazioni, a prescindere dalla cifra spesa avranno un rimborso di 3.000 euro l’anno. Conterà quindi il numero delle operazioni: ad esempio 5 caffè vengono considerati alla stregua di 5 borse di lusso.

Fino a 300 euro con il cashback

Ma oltre a quello super c’è anche il “cashback” classico. Chi paga con la carta beneficerà del 10% di cashback, cioè un rimborso del 10% degli acquisti effettuati con moneta elettronica. Con un massimale di spesa di tremila euro e quindi con un rimborso massimo di 300 euro (cifra che può aumentare perché per cautela si è previsto che tutti i partecipanti raggiungeranno il massimo della spesa. In caso contrario, ci saranno più risorse che possono alzare il cashback oltre i 300 euro).

Premi con la Lotteria degli scontrini

Quanto alla ‘lotteria degli scontrini’, vengono confermati 50 milioni in premi per chi pagherà con carta: i premi singoli potranno arrivare anche a 5 milioni di euro. Il cashless, cioè la diffusione dell’uso della moneta elettronica, è un progetto centrale per il governo, che cambia le abitudini di pagamento dei consumatori, più in linea con l’Europa. Un sistema digitale, veloce, semplice e trasparente. Tra le priorità del governo c’è la diffusione dell’uso della moneta elettronica e del tracciamento dei pagamenti. Prova ne è anche il credito d’imposta del 30% per i negozianti che usano il POS.

Tutti pazzi per il monopattino: vendite al +140% nei primi 7 mesi del 2020

Basta guardarsi intorno, almeno nelle grandi città italiane, per rendersi conto che i monopattini hanno conquistato cuori e gambe di una larga fetta i cittadini, grazie anche al clima mite e al desiderio di muoversi individualmente per i timori legati al coronavirus. E allo stesso modo si capisce che questo veicolo ha registrato un autentico boom nell’ultimo periodo. D’altronde, i numeri lo confermano: tra gennaio e luglio 2020 c’è stato un autentico exploit di vendite per il comparto E-Mobility. Secondo le rilevazioni GfK, ne sono stati venduti in totale oltre 125.000 pezzi nei canali della Tecnologia di consumo e il valore del mercato è cresciuto del +140%.

Diffusione grazie anche allo sharing

Negli ultimi anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, le strade italiane hanno visto la diffusione di un nuovo mezzo di trasporto: il monopattino elettrico. Un mezzo che si è diffuso grazie anche ai servizi di sharing, ma che molti hanno deciso di acquistare per sperimentare nuovi modi di spostarsi, specialmente in città.

E-Mobility, un settore che corre

Secondo i dati GfK, in Italia il comparto E-Mobility (che comprende monopattini elettrici, skateboard elettrici, hoverboard e one wheel) ha registrato nei primi 7 mesi del 2020 una crescita a valore del +140%, rispetto allo stesso periodo del 2019. La tipologia di prodotto di gran lunga più venduta è stata quella del monopattino elettrico, che negli ultimi mesi è arrivato a pesare a valore oltre il 90% del comparto. Sono escluse da questo perimetro le biciclette elettriche e a pedalata assistita.

Complessivamente, tra gennaio e luglio 2020 sono stati vendute oltre 125.000 unità. Il picco di vendite si è registrato nel mese di luglio (+52,6% a unità) ma il trend in forte crescita ha caratterizzato tutto il periodo successivo al lockdown, complice sia il clima estivo, sia probabilmente la voglia di dotarsi di nuovi mezzi di trasporto individuali (quindi più sicuri sul fronte del contagio) ed ecologici.

Il Bonus Mobilità ha incentivato i consumi

Certamente anche il Bonus Mobilità, valido per i mezzi acquistati dal maggio scorso, ha contributo a far propendere per l’acquisto di un mezzo elettrico grazie ai vantaggi economici. Nel periodo considerato, il prezzo medio di vendita dei dispositivi per la mobilità elettrica è stato di 320 euro, in forte crescita rispetto allo stesso periodo del 2019, quando si attestava a 193 euro. Quindi il Bonus ha fatto sì che gli investimenti fossero più “consistenti” rispetto a quelli di qualche mese prima.

L’Intelligenza Artificiale e l’IoT invadono l’hospitality

Le aziende oggi dedicano ampio spazio alle innovazioni, e il settore dell’hospitality non è stato “risparmiato” dalla brusca accelerata del digitale spinta dall’emergenza Covid. Dai menu di locali e ristoranti alla possibilità di analizzare i Big Data dei clienti, o prevedere gli ordini e organizzare il lavoro in cucina, il ricorso a soluzioni di Intelligenza Artificiale e app legate all’Internet of Things, è ormai diffuso in diversi ambiti applicativi del settore. Per tutti, settore ricettivo compreso, la sfida oggi sembra essere quella di capire come l’AI possa rispondere ai bisogni della Nuova Normalità. E HostMilano, la manifestazione milanese dedicata all’accoglienza, è un osservatorio privilegiato per il monitoraggio delle nuove tendenze in Italia e nei principali mercati internazionali.

Soluzioni touchless per diversi ambiti applicativi

In questo scenario il locale del futuro ha già fatto capolino, e le industrie del settore hanno individuato nell’AI e nella tecnologia possibili soluzioni ai problemi presentati durante il lockdown.

Qualche esempio? “Soluzioni touchless legate all’AI sono ormai presenti in diversi ambiti applicativi – spiega Juan Bernardo Kferman, Buyer Food, Beverage & Supplies di Club Med (USA and Caribbean Region) -. Dalle macchine da caffè ai menu, dalle chiavi della stanza fino allo sciacquone del water. A queste si aggiunge una serie di app e di sistemi di automatizzazione, disponibili su qualsiasi telefono cellulare – aggiunge Kferman-. Nuove idee e nuove tendenze che continueranno anche nell’era 4.0”.

Meno contatto il trend per la ristorazione

Sulle previsioni per il futuro gli analisti concordano: una maggiore attenzione all’automazione e la riduzione della manodopera diventeranno fattori chiave nelle decisioni di acquisto, soprattutto per il comparto delle attrezzature per la ristorazione.

“L’industria della ristorazione di New York City è stata devastata dal Coronavirus. Quando riapriremo e recupereremo vedremo emergere tendenze che vanno dall’ulteriore adozione di pagamenti mobili e menu digitali a una serie di attività che potremo fare senza contatto – commenta Andrew Rigie, direttore di New York Hospitality Alliance -. Vedremo la chiusura al traffico di strade e piazze della città per consentire ai ristoranti di servire più clienti all’aperto, per compensare le riduzioni di occupazione all’interno, e vedremo una crescente pressione sul governo per attuare politiche a sostegno del settore della ristorazione”.

Un business irrinunciabile per il mondo dell’industria

E in Italia? Il Gruppo Cimbali, tra i pionieri della telemetria prima e poi dell’IoT applicato alle macchine professionali per caffè espresso, oggi vede nell’AI un business irrinunciabile per tutto il mondo dell’industria. Se i robot si rivelano utili per svolgere i compiti più ripetitivi, il vero valore dell’AI è la sua capacità di aiutare gli operatori della ristorazione a prendere decisioni migliori nella gestione e nel servizio clienti.

“Prima di tutto è necessario digitalizzare i dati delle forniture e degli ordini, che vanno ‘presi’ da ‘palmare’ – afferma Samuele Fraternali, ricercatore Senior dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano -. Poi si può pensare a soluzioni di gestione dei Big Data, che permettono di affinare gli approvvigionamenti riducendo sprechi e costi”.

A maggio vendite al dettaglio +25,2% in volume. Cresce l’ecommerce

Nel mese di maggio 2020 si assiste a un recupero per le vendite al dettaglio, che rispetto al mese precedente hanno registrato un aumento del 24,3% in valore e del 25,2% in volume. Determinanti per la variazione positiva le vendite dei beni non alimentari, che sono cresciute del 66,3% in valore e del 66,6% in volume, mentre quelle dei beni alimentari sono diminuite del -1,4% in valore e del -1,6% in volume. Si tratta dei dati evidenziati dall’Istat nel rapporto sul Commercio al dettaglio per il mese di maggio 2020.

Su base tendenziale percentuali in diminuzione, ma non per i beni alimentari

Secondo l’Istat nel trimestre marzo-maggio 2020, le vendite al dettaglio hanno registrato un calo del 20,6% in valore e del 21,8% in volume rispetto al trimestre precedente. In particolare, sono diminuite le vendite dei beni non alimentari (-37,4% in valore e -37,8% in volume), mentre le vendite dei beni alimentari hanno mostrato variazioni positive (rispettivamente +1,5% in valore e +0,4% in volume). Su base tendenziale, a maggio si registra una diminuzione delle vendite del 10,5% in valore e dell’11,9% in volume. Le vendite dei beni non alimentari sono risultate in calo del -20,4% in valore e del -20,6% in volume, mentre quelle dei beni alimentari sono cresciute del +2,8% in valore e dello +0,1% in volume.

Variazioni tendenziali negative per tutti i beni non alimentari

Per quanto riguarda i beni non alimentari, a maggio si registrano variazioni tendenziali negative per quasi tutti i gruppi di prodotti, a eccezione di Dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia (+12,4%) e Utensileria per la casa e ferramenta (+5,6%). Le diminuzioni maggiori riguardano Abbigliamento e pellicceria (-38,1%), Foto-ottica e pellicole, supporti magnetici, strumenti musicali (-37,4%) e Calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-34,8%).

Commercio elettronico a +41,7%

Rispetto a maggio 2019, il valore delle vendite al dettaglio è diminuito del 4,4% per la grande distribuzione e del 18,8 % per le imprese operanti su piccole superfici. Le vendite al di fuori dei negozi sono invece calate del 23,0%, mentre è in deciso aumento il commercio elettronico (+41,7%).

Nel corso della fase di rilevazione dei dati per il mese di maggio non vi è stata alcuna riduzione del tasso di risposta delle imprese a causa dell’emergenza sanitaria. Sono state, comunque, messe in atto azioni in fase di elaborazione dei dati per gestire in modo adeguato le variazioni eccezionali presenti in questo periodo.

 

Il futuro dell’abitare, parola d’ordine flessibilità

Se lo smart working continuerà a essere uno strumento per lavorare anche dopo la fine del lockdown, le abitazioni dovranno essere ripensate in un’ottica work-life balance. La maggiore autonomia e responsabilità hanno favorito nel lavoratore un certo senso di appagamento, ma hanno reso difficile la condivisione degli spazi, soprattutto per chi abita in città o in un appartamento.

La sensazione più comune è stata infatti quella di vivere in una casa che scoppia, e di lavorare senza soluzione di continuità. Come adattare quindi lo spazio domestico perché risponda, nel corso della giornata, a molteplici funzioni, condividendolo anche con altre persone che hanno bisogni diversi?

Home working, smart working e le nostre case

L’home working funziona. Grazie alla tecnologia ha fornito una risposta efficace a una condizione di emergenza, ma ha creato anche alcune difficoltà, riporta Ansa. “Il nostro spazio domestico è improvvisamente inadeguato – spiega Francesco Scullica, architetto, e direttore scientifico del Master Interior Design del Politecnico – i modelli di open space, di spazi a pianta libera, che hanno avvantaggiato negli ultimi anni la zona living a scapito di quella più privata, sono messi in discussione”. Le case, insomma, non si adattano molto bene al lavoro continuativo da remoto. Dopo anni in cui la casa era stata poco vissuta a favore di spazi pubblici ora tutto accade fra le quattro mura domestiche. E l’intero nucleo familiare è costretto a vivere insieme ogni giorno.

La casa non sostituisce un ufficio

La casa non può sostituire completamente un ufficio o uno spazio di coworking. Spesso per ragioni tecnologiche, ma soprattutto per la mancanza del fattore umano. Gli uffici sono infatti spazi relazionali dove si costruiscono comunità. Sono luoghi di incontri, opportunità e scambi di idee, acceleratori di relazioni.

Se in futuro vogliamo rendere le nostre case più adatte ad accogliere alcune giornate lavorative possiamo provare a ripensare la distribuzione degli spazi, in particolare la suddivisione tra quello pubblico e quello privato.

“Dovremmo innanzitutto stabilire quali potrebbero essere le stanze della casa aperte a tutti, sempre, e quali gli spazi dedicati al raccoglimento e al lavoro individuali”, commenta Isadora De Pasquale, architetto progettista di Copernico.

Ripensare, trasformare, rendere flessibile

La parola d’ordine del futuro nell’interior design sarà insomma flessibilità, negli spazi e negli arredi. Negli ultimi anni il lavoro di architetti e designer si era concentrato per rendere gli uffici adatti sia al lavoro sia alle relazioni ora è il momento di fare lo stesso all’interno delle nostre abitazioni. Trasformare la casa in un ufficio è impossibile, ma possiamo cercare di trasferire in casa alcune delle buone pratiche che solitamente adottiamo nell’arredamento funzionale degli uffici. Ad esempio, avere uno spazio personale dedicato al lavoro, dare importanza ai luoghi di transizione, scegliere arredi ergonomici e flessibili per le zone di lavoro e introdurre elementi di verde. E se anche l’arte è un acceleratore di creatività si può pensare di introdurre elementi artistici in casa. Perché la bellezza non è mai abbastanza

Il viaggio è digitale. L’eTravel raggiunge 15,5 miliardi di euro

Il viaggio inizia sempre di più sulla rete, anche se si concretizza nel mondo reale: a dirlo è l’ottava edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano. Qualche dato emerso dalle ricerca e riferito al 2019: l’eCommerce dei viaggi cresce del 9% e raggiunge i 15,5 miliardi di euro (trainato dal mobile, con un +32%), ma cresce anche il mercato complessivo con l’83% delle agenzie che registra un fatturato in crescita rispetto al 2018 e un segmento tradizionale come quello dei principali Tour Operator che fa segnare un +7%. “Se sono anni che l’eCommerce assicura tassi di crescita vicini (o addirittura superiori) alla doppia cifra, nel 2019 anche i canali distributivi ‘tradizionali’ dimostrano di aver saputo reagire alla crisi. L’83% delle agenzie di viaggio italiane, infatti, prevede per il 2019 una crescita del fatturato” dichiara Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo del Politecnico di Milano. “Il mercato del turismo sembra quindi avere spazio perché i due modelli distributivi, digitale e tradizionale, possano convivere ‘alleandosi’ per intercettare bisogni diversi nel turista: il digitale (attraverso i suoi touch point, strumenti e linguaggi) in alcuni casi diventa fattore abilitante per migliorare i propri processi anche per chi ha costruito il proprio brand sul retail fisico”.

Il 97% dei viaggiatori cerca informazioni on line

Impensabile oggi progettare, o semplicemente sognare, un viaggio senza l’ausilio di Internet. Il 97% degli italiani intervistati utilizza infatti la rete nelle fasi di ispirazione e ricerca e l’85% per prenotare l’alloggio della vacanza principale organizzata nel 2019. Ma c’è di più: sempre sul web si svolgono l’88% delle prenotazioni per gli aerei, l’86% per l’auto a noleggio, l’83% per i treni da parte dei nostri connazionali che hanno accesso a Internet. Il 53% dei viaggiatori, poi, sceglie i canali digitali per prenotare musei, tour, ristoranti una volta raggiunta la meta mentre il 63% degli italiani sceglie l’acquisto di persona sul posto.

Si viaggia con lo smartphone

Lo smartphone viene utilizzato dal 90% dei turisti nelle varie fasi del tourist journey, in particolare per la ricerca di informazioni (71%), l’acquisto di servizi prima del viaggio (33%) e la condivisione sui social e tramite recensioni (33%). Le app più utilizzate sono quelle per la ricerca e prenotazione di ristoranti (41%) e guida della località e del territorio (35%). Tuttavia, la rete non è l’unica “consulente” dei viaggi. Gli italiani confermano anche un forte attaccamento per il retail fisico – l’agenzia di viaggi in primis –  cui si è rivolto 1 italiano su 3 (33%).